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RECENSIONE FILM ABOUT ELLY

ABOUT ELLYCRITICA a cura di Olga di Comite: Dopo la poesia di Makhmalbaf, i silenzi esistenziali di Kiarostami, le donne senza uomini di Shirin Neshat, arriva un nuovo film dall’Iran, definito da alcuni un noir.

Non mi sentirei di sottoscrivere tale definizione e tanto meno in senso occidentale. Se qualche reminiscenza del nostro cinema ritorna in mente, è piuttosto "L’avventura" di Antonioni con i suoi personaggi borghesi, le angosce psicologiche, il nesso tra misteri umani e indifferenza della natura. Come avveniva nei nostri anni ’60 sull’isolotto in acque siciliane, così la casa sul mar Caspio che ospita un gruppo di trentenni in fuga da Teheran per una vacanza, diventa cassa di risonanza di contraddizioni irrisolte, sensi di colpa, paure. La differenza vera tra i due film sta nell’oggi, nell’Iran e nell’ambizione di dare, attraverso le vicende dei personaggi, uno spaccato sociologico di un paese, ma soprattutto di una classe. E’ la classe media di città, inserita nelle professioni, istruita, ma in cui non si è colmato il divario tra il voler essere e l’essere, tra il pubblico collettivo e il personale individuale.

Del resto la star del film, Golshifteh Farahani, è la vivente testimonianza di come sia difficile per un intellettuale, per di più donna, essere libera di esprimersi pienamente in patria. Ha infatti abbandonato il suo paese, bollata come ribelle e blasfema, sottoposta com’era alle pressioni della politica. Ora vive a Parigi e, oltre ad essere attrice, fa parte di una rock band underground chiamata Nomadi. Ricordate il recente "I gatti persiani"? Tutto si tiene e torniamo al gruppo in vacanza... Sono coppie con bimbi e due single che, affittata una casa sul Caspio, sulle prime ci sembrano proprio simili ai nostri connazionali. Si dividono i compiti, giocano a pallavolo o ai mimi, si godono il mare a due passi. Unica nota un po’ difforme: le donne velate anche in casa.

E ben presto il quadro cambia. Quell’acqua del mare, di cui si sentiva il respiro rassicurante e distensivo,diventa meno limpida, le onde si fanno agitate e minacciose, il colore si intorbida come a dare il segnale di una svolta. Uno dei bimbi rischia di affogare; tutti, perdendo un po’ la testa, cercano maldestramente di salvarlo. Ci riescono, ma quando la situazione si calma è sparita Elly (Taraneh Alidoosti). Si tratta della single silenziosa e timida, invitata da Sepideh (Golshifteh Farahani), per farle conoscere l’amico, appena rientrato dalla Germania, fresco di divorzio e alla ricerca di una moglie iraniana. A quel punto non si sa se Elly è morta annegata o è fuggita. Cominciano gli interrogativi, le paure, la consapevolezza che nessuno dei presenti sa quasi niente di lei. Sepideh che l’ha invitata, si sente più in colpa degli altri che comunque si rinfacciano eventuali leggerezze, non sanno chi avvisare della scomparsa, temono che la polizia indaghi e li incolpi di qualcosa. Nel frattempo è anche spuntato un fidanzato e la cosa, socialmente, si aggrava. Cosa ci facevano con loro due persone non sposate, di cui una fidanzata e decisa a lasciare il suo promesso? E perché Sepideh ha mentito anche alla padrona di casa fino a presentare Elly ed Ahmad come freschi sposi? Così il precipitare della situazione fa da cartina di tornasole della realtà.

Spuntano conflitti di coppia, remore profonde legate alla tradizione, timore di rivelare in pubblico comportamenti inaccettabili dal senso comune locale, gli uomini si mostrano subito machisti e insofferenti e ognuno scansa responsabilità di vario tipo. Col risultato finale di scaricare su Elly leggerezza e superficialità. Scopriamo quindi quanto fragile sia la ribellione agli stereotipi tradizionali e come sia lungo il cammino da fare verso una liberazione vera (ma esiste da qualche parte nel mondo?), specialmente da parte delle donne. Un film da vedere e sul quale riflettere. Olga di Comite
VOTO:

 

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