CRITICA a cura di Olga di Comite: Capita molto di rado ormai di vedere un film Romantico con la maiuscola pieni come siamo di fantasy, thriller, horror e, se va bene, di famiglie più o meno funzionanti e di amarcord più o meno riusciti. Se di romanticismo si parla è quello da soap-opera o da melensa borghesia in crisi. E allora perché no? Mi sono detta, ripensando soprattutto alla forza emotiva di "Lezioni di piano".
Per la verità avevo perso di vista da allora l’opera della regista e questo è stato un motivo in più per rivisitarla, attratta come ero dalla poesia e dalla bellezza. Si tratta infatti della relazione amorosa, intensa e platonica vissuta nel primo Ottocento dal poeta romantico inglese John Keats e Fanny Brawne, una giovane donna sua vicina di casa nella quale l’artista vide incarnata “la Bellezza che è Verità e la Verità che è Bellezza”. Intesa quest’ultima in senso universale e quasi mistico e che non disdegna di accendersi di bagliori e gesti delicatamente sensuali acquistano, per la bravura di chi narra e per il contrasto con la volgarità diffusa dell’approccio, una loro grazia irripetibile.
Quel comunicare accostandosi alla parete dietro la quale c’è la presenza dell’altro, quell’abbracciarsi lungo e tenero come bambini che si addormentano vicini, quel vivere la natura che cambia come respiro immenso e cangiante, quell’amore che ha dietro l’ombra della morte di cui si ha consapevolezza reale e non sognata. In una mescolanza di esaltazioni sentimentali, coscienza di fallimenti, immaginazione, piccoli rituali indolenti, desiderio di esprimersi creando, ricercato da quasi tutti i personaggi, cresce la comunicazione tra i due innamorati che culminerà nella composizione di alcuni tra i sonetti più belli di Keats, il 32° e il 34°, citati anche nel film.
Questo tuffo nel passato è condotto con sensibilità attenta dalla Campion, che sfodera qui tutta la sua capacità di valorizzare il bello dovunque esso si manifesti o si nasconda. Esso esplode nella natura primaverile e nei grigi invernali, si cela nelle tele e nelle sete che la protagonista maneggia, pieghetta, ricama per tirare fuori le sue creazioni artistiche, dagli abiti alla confezione di un cestino di dolci per l’amato. La fotografia e le inquadrature, con tagli da interno fiammingo o alla Vermeer, la fanno da padroni.
Naturalmente, quando l’aspetto formale diventa estetizzante in eccesso, si sconfina nella maniera e questo avviene anche in Bright Star, ma personalmente ritengo che la Maniera non sia sempre da considerare vuota e artificiosa. Talvolta può essere un raffinato velo che ricopre le grazie della bellezza o la solitudine che la morte lascia dietro, quando il lamento di chi rimane sembra quello del mondo intero. Trovo perciò che il troppo di perfezione nel racconto della regista abbia una coerenza innegabile con i contenuti dell’epoca e che sia quindi in questo caso una specie di valore aggiunto. Felice la scelta dell’interprete femminile, Abbie Cornish, meno quella dell’attore, Ben Whishaw, con un viso più da modello che da poeta al servizio della creazione. Olga di Comite
VOTO:
CRITICA a cura di Nicole Braida: Torna Jane Campion, l’autrice di “Lezioni di Piano”, con il suo occhio scrutatore e le sue immagini poetiche.
Nel suo nuovo film Bright Star, è proprio la poesia ad essere protagonista. La storia romantica e decadente di John Keats (Ben Whishaw) e della sua stella lucente, Fanny Brawne (Abbie Cornish). Storia vera, testimoniata dalle parole impresse nelle lettere della loro corrispondenza.
E’ ancora il 1818 quando in un sobborgo di Londra si incontrano Fanny e John, quest’ultimo ospite dell’amico anch’esso poeta Charles Brown. Fanny è femminile e innocente, nei suoi abiti che decora da sè è rigorosa come il suo ricamo con ago e filo. John, giovane e incompreso, preda della sua poesia, è un animo decadente e incantato dalle emozioni.
L’amore come una dolce nevicata si posa ricoprendo i due, senza spiragli, visto che comunque Keats, non avendo una rendita, non è capace di sposare Fanny.
Come una brezza, che lenta entra dalla finestra, alzando delicatamente la tenda, la giovane si lascia cullare dal nuovo amore, e da questa nuova sensazione, avvicinandosi sempre più anche alla poesia.
Jane Campion riesce a dipingere questo quadro con un vero spirito romantico, soffermandosi sui dettagli e tralasciando ogni banalità. E’ amore e non passione, sentimento puro, profondo e tagliente, difficile da trattenere, come delle farfalle rinchiuse in una stanza, che pian piano appassiscono quando la fiamma viene spenta dalle circostanze. Le sequenze scrutate da angoli particolari, sono pregne di emozioni. A lungo vediamo i due, all’opposto dello stesso muro che separa le loro due stanze, unire le mani, sentire l’un l’altro vicino nonostanze la separazione, che a volte si fa vera distanza e allora quel contatto si trasforma in inchiostro nero su carta da lettere.
Scriveva Keats:
Lucente stella, esser potessi come te costante -
non però, in solitario splendore, nella notte sospesa,
mentre, con il tuo sguardo eterno, osservi distante
tu, della natura paziente e insonne eremita,
le mutevoli acque al sacro compito intente
di pure abluzioni attorno alle spiagge umane,
o mentre scruti la maschera, discesa lievemente,
di fresca neve sui monti, e sopra le brughiere -
No - sempre costante, senza un cambiamento,
adagiarmi vorrei sul seno generoso del mio amore,
sentendolo abbassarsi e sollevarsi lento,
in dolce inquietudine e senza mai dormire,
Così sempre, e per sempre, il suo lieve respiro sentire
e vivere in eterno - o, in estasi, morire.
Emozionante, e commovente, poetico e lacerante. Nicole Braida
VOTO: