CRITICA a cura di Olga di Comite: I suoi documentari puntigliosi, sarcastici, costellati di interviste, hanno reinventato il genere, trasformandolo in giornalismo di inchiesta militante, toccante e demagogico (anche) ma indubbiamente coraggioso.
Se il marchio personale non tralascia una costante ironia che fa pensare su altri versanti a Woody Allen, la sostanza amara del suo impegno non viene meno neanche in questa sua ultima opera. Si avverte però in qualche modo che la vis polemica è diminuita insieme alla capacità di sconvolgere o commuovere (vedi Bowling a Colombine o Sicko) ed è lo stesso Moore a dichiarare la sua stanchezza di “combattente” verso la fine del film.
Detto questo, non si può negare che la domanda “Perché pagano sempre i più poveri?”, alla base di tutta la sua riflessione cinematografica, riceva ancora una volta spiegazioni condotte con un vivace ritmo di montaggio, variamente argomentate, e con un commento musicale sui generis. Se il vero colpevole è il capitalismo, ripartendo addirittura dalla crisi dell’impero romano, il regista allarga il discorso dalla sua città Flint a tutto il mondo. In questa ottica fa vedere come la logica interna del capitale agisce sulla vita della popolazione media e povera, continuando ad arricchire quell’un per cento di americani che possiede più di tutto il restante novantanove per cento.
Nelle interviste, condotte con insistenza e aggressività mentre col suo camioncino blindato si sposta per tutti i santuari della finanza, sfilano i volti degli “agnelli” e dei “lupi”.
I primi sono quelli che hanno perso il posto di lavoro, quelli che svelano come le banche incassino polizze assicurative sulla vita degli impiegati, quelli che debbono sgombrare in tutta fretta dalla propria casa pignorata per il disastro mutui. I secondi sono gli operatori finanziari di Wall Street, il presidente Bush e i suoi consiglieri, gli industriali che causa crisi non pagano ferie e liquidazioni ai lavoratori, gli agenti immobiliari che speculano arricchendosi sulle disgrazie altrui. Su tutto ciò aleggia il capitale e il profitto, spacciati come sinonimi di democrazia e vicini alla parola di Cristo (qui Moore mette in bocca al Cristo di Zeffirelli i propri pensieri).
Diversa la ricetta del regista: “Il capitalismo è un male, non lo si può regolare, bisogna eliminarlo e sostituirlo con qualcosa d’altro: la democrazia”. A questo proposito ecco le immagini di un discorso quasi inedito di Roosvelt che, già molto malato, propone e promette in tv agli americani di riscrivere la Carta dei Diritti per permettere a tutti di completare la strada delle conquiste sociali. Non lo farà mai perchè morirà un anno dopo. Oggi questa aspirazione è stata ripresa sull’onda delle speranze e della rinnovata partecipazione del popolo Usa al programma politico di Obama.
Sulla spinta di tale cambiamento si chiude il film, mentre si vede il regista che, giunto di fronte al palazzo di Wall Street, lo circonda con un nastro giallo, come quelli usati dalla polizia, per circoscrivere “la scena del crimine”. Crimine più grave di quel colpo di stato finanziario che ha giovato alle banche, ancora una volta salvate, e che ha devastato la vita della gente comune, non si poteva trovare! C’è da augurarsi che al pingue contestatore dal sorriso arguto e volpino, si affianchi gente di buona volontà e arrabbiata il giusto. Olga di Comite
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