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RECENSIONE FILM IL CAVALIERE OSCURO - IL RITORNO THE DARK KNIGHT RISES

IL CAVALIERE OSCURO - IL RITORNOCRITICA a cura di Paolo Ruggeri: Batman è sparito da otto anni, 'latitante' dopo essersi assunto le colpe di Harvey Dent per farne un simbolo di rettitudine; Bruce Wayne è un recluso, perso nel dolore per la scomparsa di Rachel Dawes. In compenso, il crimine è sotto controllo grazie al 'Dent Act' ed il Commissario Gordon è ormai prossimo alla pensione. Ma, dal basso, sale la minaccia di Bane, eroe dei poveri e degli spiantati in lotta contro Wall Street. E Bane sembra non volersi fermare davanti a nulla.

Ogni numero di magia è composto da 3 parti: la promessa, la svolta, il prestigio; lo stesso vale per un film, e vale in maniera esponenziale per una trilogia: il terzo episodio deve chiudere 'col botto', con la magia, la sorpresa, deve lasciare a bocca aperta per la meraviglia.

Batman Begins e The Dark Knight sono stati apprezzati dal pubblico e dalla critica perché, pur mantenendo molti luoghi comuni del genere 'supereroistico' dimostravano una complessità tematica e narrativa tale da fare breccia nella mente dello spettatore e restare con lui a lungo anche dopo la visione.

Nel terzo episodio, The Dark Knight Rises, la sfida è chiara: Christopher Nolan non può deludere le aspettative legate alla saga ed ai suoi film in generale, ma gli ingredienti sono tanti e la realizzazione di una buona ricetta che li contenga tutti si fa complessa. Non sarà forse il modus operandi dell'artista, ma immagino che i Nolan (Christopher e Jonathan, autori della sceneggiatura) siano abbastanza cerebrali e coscienti del proprio compito da mettersi seduti davanti ad un foglio bianco e stilare tutti i requisiti per il loro film:

- deve essere una conclusione soddisfacente della storia, il che significa tenere conto di tutto quello che è successo fino ad ora e proseguire da lì;

- deve riprendere, ampliare e possibilmente racchiudere i temi presentati nei primi due film: la giustizia, la sofferenza e la rabbia dell'orfano, la paura di perdere gli affetti, la necessità di superare la paura e la rabbia; l'importanza dei simboli e dei punti di riferimento, e quindi dell'autorità costituita; il fatto che ogni azione comporta conseguenze;

- deve trovare nell'attualità il motore che fa scattare il racconto: se i primi due film prendevano le mosse dalla paura del terrorismo, oggi il tema caldo è la crisi economica;

- molti dei personaggi vecchi non ci sono più, perciò bisogna introdurre nuovi personaggi: un nemico all'altezza, naturalmente, ma anche altri comprimari che permettano di tessere le varie trame necessarie per sviluppare l'azione ed i temi dominanti; alcuni personaggi devono essere tratti dal fumetto, per accontentare gli appassionati, ma ormai c'è la libertà di aggiungerne di nuovi.

Per tenere fede a tutti questi propositi, una magia non basta: serve un capolavoro.

The Dark Knight Rises è un capolavoro? No, neanche agli occhi dello spettatore più entusiasta: anche alla prima visione, anche se ammaliati dal grande schermo - magari Imax per i più fortunati - ci sono elementi che stonano. Non parlo della colonna sonora, potente fin dall'inizio tanto da soverchiare alcuni dialoghi; non parlo della voce del cattivo Bane, almeno nell'originale sorprendentemente 'fuori personaggio'; parlo della sceneggiatura, di alcune scene, alcuni passaggi anche importanti per lo svolgimento della storia, che suonano come scorciatoie: in altri film, se provenissero da altre penne, verrebbero pubblicamente sbeffeggiati; qui, i Nolan spendono due o tre buoni-credibilità guadagnati in virtù delle passate glorie.

Il fatto è che forse il compito è davvero troppo complesso per poter essere svolto in meno di tre ore. Un altro autore, un altro regista, avrebbe proposto ed ottenuto dalla major di dividere il film in due parti. Pur con tutti i difetti, tutte le lungaggini e le scorciatoie, è un bene che non sia questo il caso: il film ha un profondo cuore emotivo che non può essere interrotto e ripreso a distanza di sei mesi. The Dark Knight Rises, più che la testa, ci smuove emozioni, un coinvolgimento con i personaggi e con la storia che da soli pongono il film una spanna sopra qualsiasi altro film di supereroi visto in questi anni (con buona pace della Marvel e di Joss Whedon). Non è l'azione il pilastro sul quale si basa il film: una scena, in particolare, raccontata in una frase risulterebbe identica ad un'altra scena vista in un altro film di qualche mese fa, ma vista sullo schermo dà emozioni del tutto diverse da quella.

Non è un caso che il trailer avesse come narratore la commossa voce di Michael Caine / Alfred e la sua implorazione a Bruce Wayne di non lasciarsi uccidere da questa missione auto-imposta: questa è la colonna vertebrale della storia, e lo spettatore si trova, come Alfred, come Bruce, combattuto tra ciò che vorrebbe e ciò che sa che deve succedere, in lotta tra la felicità dei personaggi e la coerenza al senso del dovere. Alfred e Bruce sono tutto ciò che ci interessa per queste due ore e quaranta. Gli altri personaggi fanno girare la storia, costituiscono il casus belli ma non sono essenziali a nutrire il cuore emotivo del film. Tranne uno, che non svelerò.

Nessuna sorpresa dagli attori / personaggi che già conosciamo: oltre ai due già citati, in pratica restano solo Gary Oldman / Gordon e Morgan Freeman / Lucius Fox (più altri due, in ruoli minori) sui quali non c'è molto da aggiungere. La vera sorpresa per i più sarà Anne Hathaway, attrice che pur senza grossi passi falsi, non ha ancora avuto in carriera un ruolo che la valorizzasse davvero come interprete: Selina Kyle / The Cat (mai esplicitamente Catwoman) è il personaggio che serviva.

Novella Robin (Hood, tranquilli) che ruba ai ricchi per dare a se stessa, che è povera, Selina è in grado di passare dal ruolo della donzella inerme a quello della navigata seduttrice in una frazione di secondo, e Anne si adatta a questi ritmi senza alcuna difficoltà.

Poi c'è la gang di Inception: Tom Hardy gioca soprattutto di fisicità (il volto coperto ne limita notevolmente l'espressività e, in fondo, il ruolo Bane non richiede un attore shakespeariano); Joseph Gordon-Levitt mantiene la solita espressione da figo / intellettuale che forse vorrebbe passare all'azione e forse no, in un personaggio comunque molto meglio delineato di quanto non fosse il suo ruolo nel precedente film di Nolan; Marion Cotillard gioca come già in altri casi con il suo sguardo tra l'ingenuo ed il seduttore, ma il suo personaggio può sembrare un'aggiunta tardiva necessaria per dare un'incentivo alla motivazione di altri personaggi. Matthew Modine fa il proprio mestiere senza che gli venga richiesto nulla di particolare.

The Dark Knight Rises: il tema del 'rises', dell'ascensione, purtroppo perduto nel titolo italiano, è portante in tutta la storia: Bane spinge verso il basso, Batman si innalza verso l'alto, fisicamente (con il Batwing, qui ribattezzato The Bat) ed interiormente (non era forse la caduta nel pozzo l'inizio di Batman Begins?). E l'ultimissima scena riesce a riprendere questi significati e a dotarli di un senso totalmente nuovo.

Ognuno in un film vede riferimenti diversi, secondo la propria formazione e la propria cultura.

Il regista ha citato esplicitamente il Racconto delle Due Città di Dickens (ed effettivamente c'è molto di 'Rivoluzione Francese' in questo film); altri critici hanno parlato di Dottor Zhivago, di James Bond.

Da un lato è inevitabile trovare riferimenti al Ritorno / Vendetta dello Jedi / Sith. Dall'altro è impossibile pensare che Bane non abbia guardato Fight Club.

E c'è un momento, un solo breve fugace momento che ci riporta ad Inception e The Prestige. Proprio in quell'istante, Nolan sta eseguendo il suo numero di illusionismo. Questa volta la mano non è abbastanza veloce ed il trucco si vede. La magia non è riuscita fino in fondo.

Ma ditemi voi, a quanti 'terzi episodi' il prestigio è riuscito? Paolo Ruggeri
VOTO:

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