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RECENSIONE FILM LA TERRA DELL'ABBONDANZA LAND OF PLENTY

LA TERRA DELL'ABBONDANZAANNO: U.S.A. 2004

GENERE: Drammatico

REGIA: Wim Wenders

CAST: Michelle Williams, John Diehl, Burt Young, Shaun Toub, Wendell Pierce, Richard Edson, Jeris Poindexter, Rhonda Stubbins White, Bernard White, Yuri Elvin.

DURATA: 114 '

TRAMA: Berretto Verde in congedo, Paul (John Diehl) è ossessionato dall'idea di dover proteggere la Terra della Libertà e di fare la sua parte nel "War Against Terror" in corso. Colpito in combattimento vicino Long Thanh a diciott'anni, ora sta vivendo i crescenti effetti psicologici dell'avvelenamento da diossina, per essere stato esposto all'Agente Rosa più di trent'anni fa. Gli eventi dell'11 settembre hanno riproposto il suo trauma di guerra e fatto sì che tornassero i fantasmi del passato. Ma la paura è l'ultima cosa che Paul potrebbe ammettere. Lana (Michelle Williams) ha vissuto in Africa ed in Europa negli ultimi dieci anni e sta tornando nel suo paese dopo una lunga assenza. Vuole andare al college, ma si trova coinvolta molto presto nella Missione Downtown che opera per la grande comunità di senzatetto d'America, la "Hunger Capital". È un'idealista, ancora in cerca di una collocazione nel mondo. Trova la sua fede cristiana nel colpire l'opposizione per l'atteggiamento dell'attuale amministrazione. Paul non ha amici ed ha tagliato tutti i rapporti con la famiglia. La sua esistenza da recluso, come funzionario della sicurezza del paese, vacilla - a sua detta - nel momento in cui arriva Lana. È una sua nipote dimenticata da tempo e lui è l'unico legame con la famiglia della madre. Paul accetta a malincuore la sua presenza. Entrambi sono testimoni della morte, in apparenza casuale, di un barbone mediorientale e decidono di indagare sull'accaduto assieme, anche se spinti da ragioni diverse. In questa ricerca della verità, le loro diverse visioni del mondo si vengono a scontrare radicalmente...

CRITICA a cura di Olga di Comite: Il film ultimo di Wenders potrebbe essere ascritto alle tante recenti opere, targate Usa e non, che s'interrogano sul dove va l'America oggi. Il cineasta tedesco se lo chiede senza dimenticare l'amore che ha sempre avuto ed ha per questo grande, interessante e contraddittorio paese. Wenders non è Moore, è un europeo, da sempre legato alla poesia dell'immagine, alle storie che indagano i significati dell'esistenza, che costruisce personaggi inventati ma emblematici in atmosfere tali da rimanere nella memoria, tipo "Alice nella città". Ultimamente ha tentato anche film a impianto documentario, ma seguendo le sue passioni e predilezioni musicali ("Buena Vista Social Club" o "L'Anima di un uomo"), evitando istintivamente il giudizio sulla situazione attuale. Questa volta ne La Terra dell'abbondanza, titolo tratto da una ballata di Leonard Cohen che accompagna le scene finali del film, sceglie una specie di apologo politico a modo suo, con personaggi-simbolo inventati da lui coautore della storia. Sta proprio qui, a mio parere, la debolezza dell'opera. Per intenderci, io amo il Wenders di "Alice nelle città" e de "Il Cielo sopra Berlino", o quello di "Lisbon-story", di meno gli intellettualismi arzigogolati delle ultime cose. Così ho trovato opaca, retorica, e ancor più spesso ripetitiva e prevedibile la sua ultima fatica, nonché eccessivi i due personaggi principali. Paul è l'ennesimo reduce affetto da sindrome del Vietnam, cui ha dato alla testa la diossina respirata nelle azioni di sterminio di quella popolazione; Laura è la giovane e tenera nipote, arrivata a Los Angeles su mandato della madre proprio per rintracciare lo zio. Il primo appare scontato e freddamente paranoico, la seconda piuttosto di maniera, troppo "Biancaneve nel mondo dei cattivi". Queste caratterizzazioni sono rischiarate qua e là da qualche lampo di ironia e leggerezza ma ciò non basta a renderle credibili. Nel rappresentare i volti opposti dell'America si poteva far di meglio, data la pluralità di tipi, origini ed esperienze che caratterizzano il popolo degli States. Anche il quartiere desolato degli sradicati di ogni colore sa di già visto mille volte e solo la capacità di interpretare con maestria l'anima di una città salva il regista da un formalismo che incasella la realtà in maniera troppo rigida. E veniamo alla storia. Il reduce Paul (John Dhiel), si è autoproclamato agente di spionaggio di un fantomatico corpo speciale per la sicurezza. Viaggia su un furgone scassato, ma accessoriato di tutto ciò che serve a spiare, si serve di telecamere, è imbottito di armi e segue tutti quelli che la sua mente esaltata collega alla guerra chimica e al terrorismo, specialmente se si tratta di arabi. Laura, sua nipote (Michelle Williams, sottilmente bella) attivista, impegnata nelle missioni africane, dove ha vissuto, e poi in Palestina, appena tornata a Los Angeles sceglie come campo della sua azione una comunità di senzatetto nel cuore del dark-side della città. Questi due mondi lontani si ritrovano nello sviluppo piuttosto improbabile delle vicende in una detective-story forzosa e non convincente. La telecamera, agile, quasi amatoriale, la ripresa in digitale e l'aderenza degli attori (specie John Dhiel) al personaggio, riescono però a conferire momenti di autenticità al film, specie nel finale, che resta comunque poco emozionante. Olga di Comite
VOTO:

 

SPIGOLATURE

La suoneria del telefonino appartenente al protagonista intona "The Star Spangled Banner", l'inno federale americano: esso arriva con un audio sporco e distorto, quasi a simboleggiare il contrasto tra la solennità del testo e l'attuale situazione americana. Afferma Wenders al riguardo che non a caso << nei posti più poveri del paese non si vede una casa nè una macchina senza bandiera. E' nelle regioni dove l'America manca di più le proprie promesse che il sogno americano è più sentito >>. E ancora in altra parte dell'intervista il regista dichiara: << Questo film l'ho girato con la pancia >>. Infatti ha usato una tecnica digitale che crea un rapporto più diretto tra gli attori, poiché << anche loro si sentivano liberi, potevano interrompere una scena per riprendere senza bisogno di ricominciare tutto da capo >>. Un altro pezzo di vecchio cinema che se ne va con la "liberazione" del set...Visto che il paragone con l'opera di Michael Moore (anch'essa nelle sale) è d'obbligo, sempre nella stessa intervista Wenders precisa gentilmente: << Anch'io parlo della disonestà, dell'inganno ai danni della pubblica opinione, ma la mia è una fiction, non un documentario... Però i due protagonisti operano una vera presa di coscienza politica... >>. Quest'ultima è una bella novità per l'autore tedesco, restio a buttarla in politica, ma molto turbato dagli eventi post 11 settembre. Lui comunque, che ci vive e ci lavora negli States, non rinuncia all'affetto che lo anima. Lo si capisce anche dalla classica citazione finale: una traversata da costa a costa California-New York.

 

INVITO

Invito alla lettura o rilettura di "1984" di George Orwell. Invito a rivedere in cassette la trilogia on the road di Wim Wenders: "Alice nelle città", "Falso movimento", "Nel corso del tempo".

 

PROVOCAZIONI

1. Cos'è più patriottico: mostrare il lato oscuro e la povertà di città come Los Angeles o nasconderlo come vorrebbe George Bush?

2. In fin dei conti era molto più comodo per l'Europa "obbedir tacendo" rispetto alle scelte di politica estera dell'America. Saremo in grado di elaborare una nostra visione unitaria e autonoma, se necessario?

3. Se oggi dovessi scegliere dove vivere, andresti... (è esclusa la scelta dell'Everest o il monastero tibetano).

 

a cura di Olga di Comite

CRITICA a cura di Gianni Merlin: Oramai accecato dalla sua ossessione americana, anche Wenders in Land of Plenty - La Terra dell'Abbondanza si lascia trasportare dalla volontà di rappresentazione del post-11 settembre nel tentativo di dare appunto una nuova definizione e visione della tanto amata terra statunitense. Tale progetto poteva essere dei più interessanti, in quanto pensato da un regista europeo, che almeno un glorioso tempo fa, manteneva un'idea meravigliosa del cinema e cercava di indagare la realtà con occhio curioso e attento, in sostanza e definitivamente dopo la visione di questo film, da un regista attento che considerava il cinema come la proiezione del proprio desiderio di conoscenza. In verità, per uno spettatore medio al quale evidentemente oramai Wenders si rivolge, Land of Plenty - La Terra dell'Abbondanza potrebbe realmente assurgere a strumento cinematografico utile per la comprensione della dicotomia americana attuale fra guerrafondai e pacifisti, in quanto capace il film, grazie allo stratagemma del classico road movie, di evidenziare la giustapposizione dei due protagonisti, la ragazzina volontaria espressione dell'ala chiaramente tollerante e comprensiva e il reduce vietnamita, patriottico e ottuso. Tra l'altro, il montaggio è sufficientemente serrato, il regista dilunga volentieri sui bassifondi di una Los Angeles dai colori forti e fortemente fotografata, rivelandone squarci non conosciuti, e a al solito per il regista teutonico, il tutto viene accompagnato da molta musica di ottima scelta. Ma per chi solo per un attimo è rimasto folgorato dalla bellezza delle prime opere wendersiane, chi si è riconosciuto nei suoi film che trasudavano modernità intrisa di passione, che brillavano per la forza di storie secche come il whisky, chi ha ancora nelle orecchie la chitarra di Ry Cooder di "Paris, Texas" con il volto languido di Nastassia Kinski, rimarrà di nuovo deluso e sconsolato dopo la visione di Land of plenty - La Terra dell'Abbondanza, che diventerà a questo punto persino dannosa per la memoria di un regista che era riuscito, parafrasando un suo capolavoro, veramente "a fare il punto sullo stato delle cose del modo della celluloide". Dopo 10 minuti non c'è più niente da capire, anzi l'unico motivo che fa restare sulla sedia è l'incredulità di vedere e assistere a delle banalità storicamente e esteticamente clamorose, di cui veramente si perde il numero: perché, e questa è la cosa più grave, non solo latita una qualsiasi volontà di rinnovamento cinematografico in Wenders, oramai capace di assemblare dei film più che di costruirli, ma, al di là delle intenzioni non propagandistiche che il regista tedesco ha voluto sottolineare, se allora crediamo alla sua volontà di non dare giudizi sul comportamento del popolo americano post 11/09, solo per restare a certe frasi che si sentono in Land of Plenty, vuol proprio dire che Wenders si è fumato il cervello, oppure ha dimenticato la connessione fra parole e significato. Gianni Merlin
VOTO:

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