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RECENSIONE FILM MI PIACE LAVORARE (MOBBING)

MI PIACE LAVORARE - MOBBINGANNO: Italia 2003

GENERE: Drammatico

REGIA: Francesca Comencini

CAST: Nicoletta Braschi, Camille Dugay Comencini, Marina Buoncristiani, Roberta Celea, Assunta Cestaro, Stefano Colace, Claudia Coli, Marcello Miglio, Moses Chika Obijiaku, Marian Serban, Frédérique Siguier, Fabrizio Tola, Ginevra Benini, Impero Bartoli, Sonia De Meo, Francesca Romana Lugeri, Michele Luggeri, Rosa Matteucci, Tommaso Nanni, Constance Obijiaku, Herbert Okey Obijiaku, Maurizio Quadrana.

DURATA: 89 '

TRAMA: L'azienda in cui lavora Anna (Nicoletta Braschi), segretaria di terzo livello, è stata comprata da una multinazionale. Il giorno della festa aziendale per festeggiare la fusione, Anna è l'unica fra tutti gli impiegati a non essere spontaneamente salutata dal nuovo direttore del personale. Un incidente banale, o forse solo una dimenticanza. Questo piccolo avvenimento è il primo segno di un processo che diventerà per lei un vero calvario. Lentamente, ma inesorabilmente, il "gruppo" si scatena contro di lei. Le vessazioni iniziano, piccole, invisibili, ma ripetute. Anna viene lasciata sola al tavolo della mensa aziendale, nessuno la invita più a prendere il caffè la mattina, il suo posto di lavoro viene "inavvertitamente" occupato. Anna è una donna sola, divorziata, con una figlia, Morgana (Camille Dugay Comencini). Sono molto unite e solidali, hanno imparato a cavarsela da sole, a sorreggersi. Un senso diffuso di precarietà pervade la loro vita. Intanto l'azienda le cambia continuamente mansioni, obbligandola a percorrere a ritroso tutte le tappe sulle quali lei aveva fondato la sua autostima, e gliele smonta. Anna rimane ore e ore accanto ad una fotocopiatrice, senza far niente. I suoi tentativi di recuperare un ruolo utile vengono umiliati e viene mandata a sorvegliare il lavoro degli operai nei magazzini, secondo una logica aziendale di mettere gli uni contro gli altri. Anna non regge più, e infine scoppia: esaurimento nervoso, malattia. Non si occupa quasi più di Morgana, ma sarà proprio sua figlia a starle accanto e salvarla. Anna ritrova coraggio e decide di raccontare a qualcuno la sua storia e non rimanere più sola...

CRITICA a cura di Olga di Comite: Francesca Comencini, l'altra figlia del "patriarca" Luigi, al contrario della sorella Cristina, sceglie argomenti di impegno politico e sociale. E questa volta centra il bersaglio. Dopo i fatti del G8 genovese, eccola affrontare con un taglio ben più maturo e senza manicheismi, il tema molto attuale (purtroppo!) del Mobbing sul luogo di lavoro. Questa parola inglese si riferisce, come sappiamo, a una nuova tecnica di dissuasione dal lavoro: per evitare licenziamenti brutali, si fa in modo di creare un clima invivibile per la persona "in esubero", fino a portarla alla depressione, ad una crisi di identità che gli impedisce di rendere. Progressivamente il dipendente vede scadere la qualità degli incarichi conferitigli, comincia a dubitare di se stesso, non controlla più le sue reazioni. Una tecnica raffinata, da capitalismo globale, che vuole un lavoro di tipo flessibile al massimo, in cui le esigenze umane del lavoratore sono semplicemente inesistenti. Il fatto è che a livello di comunicazione del fenomeno, notissimo alle organizzazioni sindacali, si parla molto poco. Da questo punto di vista il film della Comencini, Mi Piace lavorare (Mobbing), riempie un vuoto. A parte ciò, l'opera si caratterizza per un linguaggio asciutto, realistico, quasi da documento. I dialoghi sono scarni: parlano molto i volti e le azioni, quelle quotidiane che sembrano irrilevanti e a volte sono eroiche, tanto è duro organizzare la propria vita, quella dei figli, il lavoro, la sopravvivenza e un minimo di attenzione agli altri. Lo sa bene la protagonista Anna, che ama il proprio lavoro di segretaria in un'azienda e riesce con dolcezza ad assolvere il suo compito di madre sola con una bimba precocemente adulta e responsabile per necessità, ma pur sempre piccola. Le cose però cambiano quando l'azienda dove lavora viene comprata da un gruppo straniero (tra parentesi, ciò sta avvenendo sempre più spesso e di tante industrie nostrane di rilievo è rimasto ben poco). Il racconto si apre con il party dato dai nuovi dirigenti, pretesto per comunicare ai lavoratori la nuova filosofia del lavorare molto per creare nuovo lavoro, prestandosi a una flessibilità totale per cui si vuole tutto con poca attenzione al resto della vita umana. Comincia così la discesa all'inferno di Anna: piccole vessazioni all'inizio, poi sempre più gravi, il suo ruolo che cambia in continuazione, andando verso il basso, verso l'isolamento, poiché la insicurezza rende più pesanti gli egoismi dei compagni di lavoro, fino all'umiliazione totale per costringerla ad andarsene. L'unica valvola di sicurezza, il rapporto con la figlia, comincia anch'esso a corrodersi, la salute cede, il carattere si guasta. Anna sta sprofondando verso la depressione, ma trova poi la forza di reagire e vince (se così si può dire) la causa contro l'azienda. In realtà è comunque vittima di una sconfitta, perché difficilmente chi è stato oggetto di mobbing torna a lavorare dov'era prima. Per dipingere i suoi personaggi Francesca Comencini ha voluto il massimo di credibilità, affidandosi perlopiù a facce comuni, a persone non professioniste, tra cui alcune che avevano vissuto vicende di mobbing sulla propria pelle. Per Anna la scelta è caduta su Nicoletta Braschi, la cui versatilità è stata finora un po' oscurata dalla presenza al suo fianco dello straripante marito Roberto Benigni. In questa veste la Braschi mostra la stoffa di un'interprete notevole per autenticità e sensibilità. La sua impiegata è vera, giustamente dolce, disponibile, vibratile e smarrita; via via che la sua vita lavorativa degrada, il suo fisico sembra restringersi, il volto scavarsi, la pelle sgranarsi. Quasi tramortita, alla fine cerca di ancorarsi all'unica realtà che non l'ha tradita come il lavoro o il marito. La bambina e il rapporto con essa di grande tenerezza e fiducia darà la spinta ad Anna per rimettersi in sesto. Tante donne nel quotidiano riescono a superare abissi di difficoltà grazie al pensiero dei figli e tante lo fanno in silenzio, con dignità, nell'anonimato, senza maternalismi o sdilinquimenti. Nel rendere questa dimensione vicina a quella di tante persone, la regista si rivela attenta e acuta, rendendoci con un gesto, con un'occhiata, uno spaccato di realtà. Quello che nuoce al film è un ritmo un po' lento, il ripetersi di alcune situazioni di lavoro e qualche eccesso didattico, necessario d'altronde, data la novità del tema. Non siamo di fronte alla tempra e all'esperienza di un Kean Loach, ma la Comencini promette senz'altro bene e sa scegliere i suoi collaboratori, vedi G. Luca Bigazzi, autore di una bella fotografia. Olga di Comite
VOTO:

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