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RECENSIONE FILM SI PUO' FARE

SI PUO' FARECRITICA a cura di Olga di Comite: Che sorpresa alcuni film italiani di quest’anno! Forse siamo davvero sulla buona strada, con alcuni autori giovani e non, anche se sono quelli meno strombazzati nelle campagne pubblicitarie dei vari festival. I loro titoli, messi in sezioni di scarso rilievo o fuori concorso, diventano poi le vere rivelazioni della rassegna. Accade anche per il festival di Roma, che non brilla per qualità e punta molto su divismo e lustrini. Niente di più lontano che l’opera di Giulio Manfredonia, Si può fare.

Ambientata negli anni ’80, riecheggia nel titolo espressioni che sono diventate molto usate e sentite di recente: penso agli slogan alla Veltroni o al recentissimo “Yes, we can” di Barack Obama. Come linguaggio figurativo il film non è brillante, ancorato come è a una onesta fiction tv (comunque di qualità superiore rispetto a quelle in circolazione). Altro discorso invece se guardiamo al soggetto, alla professionalità degli attori, alla sceneggiatura, tutti elementi di ottimo livello.

Il racconto impostato in modo diretto e sincero evita i toni estremi e si mantiene rigorosamente sobrio, cosa molto difficile dato il tema. Si tratta infatti di un’esperienza di cooperativa sociale che si svolge subito dopo la chiusura dei manicomi in seguito alla legge Basaglia o 180. Protagonista di questa terapia basata sul lavoro che deve confrontarsi anche col mercato, è un composito gruppo di ex-malati di mente. Affidati alla tutela di un medico molto tradizionale (Giorgio Colangeli) hanno lasciato il manicomio ma trascinano squallidamente le loro esistenze, imbottiti di farmaci. Tanto, si sa, sono bacati dentro e con i dolori che si portano dietro nessuna normalità è possibile. Arriva invece da loro Nello (Claudio Bisio misurato e a suo agio nella parte) ex-sindacalista un po’ sognatore, un po’ dotato di concretezza. Egli è deciso a tentare l’avventura con il gruppetto sulle prime scalcagnato e riottoso, preda di ataviche insicurezze e violenze, poi sempre più unito. E di che avventura si tratta? Semplicemente di renderli corresponsabili e soci di un’attività vera.
Gli ex-matti diventano così una cooperativa che fa affari e trasforma l’inesperienza in originalità, creando fantasiosi parquet che rompono la simmetria della tecnica tradizionale.

Tra passi indietro, passi avanti, momenti da ridere e momenti da piangere la storia va avanti incrociando la vita di un altro medico, questa volta giovane e basagliano (Giuseppe Battiston) e la relazione sentimentale tra Nello e una dolce fidanzata (Anita Caprioli), impegnata in modo contraddittorio nel mondo della moda. Leit-motiv è comunque la difficoltà di camminare sui quel filo sottile che separa normalità e malattia con sconfinamenti da una parte e dall’altra che rendono difficile la differenza.

Sembrerebbe che la favola di buoni sentimenti, anche se realizzata con verosimiglianza da attori veri, faccia comunque parte del mondo dei sogni. Invece dal testo in sovrimpressione a film concluso apprendiamo che la storia s’ispira a un’esperienza vera e che le cooperative sociali in atto in Italia sono tante. Scopriamo così con noi stessi che avevamo un po’ dimenticato il problema e l’utopia realizzata da pochi che ci credono a cui seguono i molti; perciò amiamo ancora di più questo lavoro che ce lo ha ricordato. Olga di Comite
VOTO:

 

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