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RECENSIONE FILM SOGNI E DELITTI CASSANDRA'S DREAM

SOGNI E DELITTICRITICA a cura di Olga di Comite: Eccoci di fronte a un autore che dopo i settanta sembra toccare il fondo del suo pessimismo, peraltro latente anche in opere del passato (Interiors, Crimini e misfatti, Ombre e nebbia). Quindi, se ci si aspetta dal nostro Woody la battuta che può risollevare la serata, niente da fare: qui siamo in un’atmosfera da thriller tragico, con antecedenti nel delitto e nella colpa alla Dostowyeski. Del resto il titolo originale del film, Cassandra’s Dream (come la barca a vela che i protagonisti comprano), non promette niente di buono, perché si sa che la Cassandra antica era una specialista in infausti presagi.

Diciamo subito qualcosa del racconto. Due fratelli londinesi d’estrazione proletaria, gravitanti nelle periferie urbane, di quelli che dovrebbero contare solo sul proprio lavoro per vivere, per un verso o per l’altro mantengono un tenore di vita superiore ai loro mezzi. L’uno, un debole e immaturo meccanico, brucia i suoi guadagni alle corse dei cani e al tavolo verde, sognando facili arricchimenti e indebitandosi sempre più. L’altro, di carattere più forte e cinico, aiuta il padre, malandato in salute, nella gestione di un piccolo ristorante, ma è perso dietro il sogno di macchine di lusso e belle donne nonché di grandiosi e inesistenti affari. Essendo entrambi nei guai, arrivano al punto di eseguire un crimine su commissione, richiestogli da un loro zio ricchissimo che in cambio darà tutto il denaro di cui hanno bisogno. Da qui ci si avvia alla catastrofe finale.

Se in Match Point non tutti i personaggi impersonavano il male, qui non si salva nessuno. Tutti sono congenitamente cinici e “sognano” fino a oltrepassare il limite esistente, poiché non è lecito usare ogni mezzo pur di avere ciò che si sogna. Ma ciascuno tende a credere il contrario: i genitori dei giovani perdono ogni dignità di fronte ai donativi del parente ricco, i due figli diventano criminali per l’ansia di possedere sempre più mezzi, le rispettive fidanzate sono mosse dall’interesse più o meno mascherato, lo zio che ha fatto fortuna con espedienti inconfessabili, per non perderla è disposto a tutto.

Debolezza e arrivismo, ipocrisia e menzogna sono la trama di cui ognuno è intessuto e il sogno, che pure dovrebbe essere la valvola di sfogo del grigio quotidiano, diventa l’ossessione che prende alla gola e impedisce qualsiasi scatto di ribellione, qualsiasi gesto di pura solidarietà, qualsiasi slancio che non abbia radice in un calcolo recondito. Così i due ragazzotti londinesi, come ce ne sono tanti nelle periferie delle grandi città, pigri e scavezzacolli o cinici e amanti del lusso, assurgono a simbolo di un’umanità malata e caotica che Allen questa volta esclude di redimere con qualche sorriso o con la sua intelligente ironia.

Alla domanda: etica o successo ad ogni costo? si risponde nella seconda maniera e da un’esistenza un po’ squallida si precipita nella tragedia sotto un cielo indifferente, grigio e rannuvolato e uno ski-line di città raccogliticcio che la fotografia di Vilmos Zsigmard sottolinea, alternandola ad interni convenzionali dove aleggia un desiderio di lusso altrettanto convenzionale. Invece del jazz prediletto Woody sceglie per questo film la musica un po’ stridente, quasi da temporale, di Philip Glass e gira con piglio da maestro e la consueta disinvoltura, con un ritmo fluido ma intenso che accompagna efficacemente fatti e stati d’animo che volgono verso l’epilogo durissimo.

Come al solito il tris degli attori è di ottimo livello e da manuale l’interpretazione di Tom Wilkinson che, per essere il personaggio più maturo ed arrivato, è quello in cui l’abisso di vuoto morale non trova alcuna giustificazione. C’è da ringraziare Allen per aver evitato tanto buonismo d’accatto e aver fatto un film come il cuor gli dettava. Olga di Comite
VOTO:

 

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