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RECENSIONE FILM TUTTI I SANTI GIORNI

TUTTI I SANTI GIORNICRITICA a cura di Olga di Comite: Virzì ha smorzato il suo sguardo, acuto con humour, nel fotografare il reale ed ha addolcito le punte d’autore di commedie di costume, per vestire di tenerezza i due personaggi principali dell’ultimo film: una lei e soprattutto un lui che più dolce e romantico non si può. Forse sta proprio in questa attenzione e positività data al protagonista maschio della coppia, la novità dell’opera.

Non è che l’autore toscano abbia rinunciato a presentare fasce della nostra società alle prese con problemi, violenze, tic e mode d’ogni genere, ma questa umanità ha nell’insieme del film un ruolo minore perché i riflettori e la centralità sono per Guido (Luca Marinelli) e Antonia (Federica Victoria Caiozzo). Ma, pur in spazi minori, gli altri non sono meno significativi o tali da non strappare un sorriso amarognolo. Al riguardo ricorderei i ritrattini, caratterizzati con pochi tratti, delle due famiglie di provenienza dei giovani: quasi caricaturali da operetta grottesca quelli siciliani di lei, da manuale del buon borghese con un occhio alla campagna e ai vini, quelli toscani, di lui.

Ma è con grande empatia che Virzì, da sempre sensibile alla condizione esistenziale dei giovani (Ovosodo, Tutta la vita davanti, La prima cosa bella), guarda a questa coppia molto speciale nella sua normalità. Ogni santo giorno essi si recano al lavoro, per lui notturno, per lei diurno, e ogni mattina, al rientro dall’albergo in cui fa il portiere di notte, Guido porta a letto la colazione ad Antonia e i due si amano. Poche le uscite e le amicizie spesso insoddisfacenti (vedi i vicini di casa), molto l’amore e la comunicazione vera, senza orpelli, tra i due trentenni.

Entrambi hanno occupazioni difformi dalle possibilità di ciascuno. Il giovane conosce a fondo le lingue e le opere antiche ed è appassionato di agiografia sacra; la donna, dal passato molto movimentato, è una musicista solista di chitarra nonché cantautrice di brani che sembrano piccole romanze (lo è anche nella vita vera). Nonostante ciò, essi hanno scelto soprattutto di amarsi e di non inseguire il successo; il resto si affronta giorno per giorno con fatica, dignità e un sorriso sulle labbra lui, senza molti interessi oltre la musica ma con maggiore inquietudine e immediatezza permalosa lei.

A un certo punto la loro armonia si incrinerà di fronte al problema dei figli che non vengono e che entrambi desiderano. Comincia così un andirivieni tra cliniche, dottori, corsi new-age, fecondazione assistita, che ha dei lati comici, ma anche molto dolorosi, via via che la speranza delusa comincia a scavare nell’equilibrio del loro stare insieme e nella consapevolezza cresciuta, soprattutto in Antonia, dei propri limiti. Ma alla fine, dopo una breve rottura, si riparte e il regista non ha paura del lieto fine perché con leggerezza e rispetto ha seguito e indagato il rapporto e le rispettive interiorità dei due.

Come oggi si può parlare di amore - un amore tra i colori sgargianti, quasi fluorescenti di vestiti e di spazi e la vicinanza “lontana” di Roma - Virzì, che sa ascoltare, ce lo riferisce con semplicità, arguzia e commozione. In questo senso egli ha scelto di percorrere un’altra strada rispetto al romanzo “La generazione” di Simone Lenzi, che insieme a Francesco Bruni, come sceneggiatori aggiunti, hanno seguito la diversa ottica del regista rispetto alle tonalità della scrittura.

Dolcemente spaesata la recitazione di Luca Marinelli (attore di un altro film “giovane”, La solitudine dei numeri primi); buona nella sua vivacità espressiva la prova della cantante, che sceglie di cimentarsi con un esordio non facile anche se guidato da un autore intelligente e umano come Virzì. Olga di Comite
VOTO:

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