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RECENSIONE FILM I VICERE'

I VICERE'CRITICA a cura di Olga di Comite: Storia di formazione, storia reale, invenzione romanzesca di tipo ottocentesco nonché richiami all’attualità; si mescolano in modo, a volte equilibrato e godibile, a volte opaco e noioso, nell’ultima fatica di Roberto Faenza. Dico subito che trovo più convincente sul piano storico Marianna Ucria, dello stesso autore, e Alla luce del sole, per quanto riguarda la narrazione riferita a vicende odierne.

Ma non tutto è da buttar via in questo “gattopardino” minore, diverso comunque nel tono dall’opera viscontiana e dal suo malinconico rimpianto per un mondo che muore. Qui le vicende si ispirano al grottesco, alla cupa ironia, al cinismo di un ambiente descritto nei Vicerè di Federico De Roberto, da cui il film è liberamente tratto. In questo caso non c’è nulla da rimpiangere, perché il potere nella Sicilia di metà-fine Ottocento rimane in piedi, trasformato nel nome ma non nella sostanza, e la stessa classe brutale e corrotta che regnava da “viceré” dei Borboni ora risiederà in Parlamento con figli e nipoti voltagabbana che continueranno la splendida tradizione del trasformismo italiano.

Tutto si trasforma, niente si crea. E non è difficile cogliere le allusioni che Faenza dissemina qua e là sui politici attuali, sul loro essere corruttibili, orgogliosamente e ottusamente lontani rispetto a chi ha sempre maggiori difficoltà nel vivere. La convinzione dell’odio come elemento formativo, la durezza, il realismo spietato, l’avidità di Giacomo, capostipite della famiglia Uzeda di Francalanza e Mirabella, hanno trovato in Lando Buzzanca, ormai lontano dagli stereotipi giovanili, un interprete convinto e luciferino, con radici personali nella lingua e nel costume siciliano.

Ma è attraverso lo sguardo del figlio Consalvo, prima bambino poi giovane in formazione, che vengono filtrati fatti, sentimenti e intrighi del mondo familiare. Il piccolo, mandato dal genitore in un monastero benedettino, coltiva una violenta ribellione interiore nei confronti del padre. Una volta uscito dal collegio, dopo aver consumato amori e giorni goderecci da simpatizzante del nuovo ordinamento politico, viaggia per l’Europa e s’istruisce per il suo futuro. Anche lui alla fine sceglie di essere potente e pur di sedere nel parlamento sabaudo, nella sua propaganda elettorale non scontenta nessuno. Fedele ai nuovi reali ma anche ai vecchi, anticlericale ma ossequiente verso il papa, amico dei poveri ma ricchissimo come erede del padre tiranno.

A questo punto di nuovo si pensa ad operazioni e personaggi della nostra vita politica, che dicono di voler rinnovare ma spesso si ripropongono con le modalità; di sempre: “un po’ qui, un po’ là e il potere a chi ce l’ha”.

Per tornare al film un cenno meritano senz’altro i raffinati costumi di Milena Canonero e la fotografia di Maurizio Calvesi, luminosa e sfarzosa in genere, ma con un fondo di cupezza e luci fosche che rimandano all’atmosfera del ponderoso volume di De Roberto, circa 700 pagine.

Un cenno meritano anche gli interpreti giovani e il musetto ingenuo ma un po’ mieloso della Capotondi, intenzionata però a mettersi in grado di fare delle scelte. Forse con la sua presenza e quella del bell’Alessandro Preziosi, qualche teen-ager avrà voglia di scoprire anche il libro, così come avvenuto per la recente versione tv di Guerra e pace. Nel complesso un film di livello mediano, senza voli, un po’ visto e un po’ sentito, ma senza grosse cadute di stile e di gusto. Olga di Comite
VOTO:

 

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