CRITICA a cura di Olga di Comite: Chi conosce il cinema di Bellocchio sa, entrando, che si accinge comunque a celebrare un rito significativo e coinvolgente. E così è stato.

L’opera è di quelle alte, che inchiodano alla riflessione e alla partecipazione, con una notevole forza di immagini, di uso sapiente della luce e dell’ombra, di una fotografa di alto livello (Daniele Ciprì). Per quanto riguarda dialoghi, sequenze, battute, ce ne sono di folgoranti che da soli valgono tutto il film. Si veda ad esempio la scena del bagno turco dove non sai se ti trovi di fronte a figure di fine impero romano o a un bordello o un pesante vapore che sa di disfacimento orientale. Per i dialoghi si veda lo scambio tra il senatore (Toni Servillo) e un collega medico (Roberto Herlitzka) che è una frustata feroce e cinica diretta ai politici, poveracci senza anima, persi nei corridoi del potere. Abituati a ricorrere a pillole di Serenase per fuggire il loro vuoto umano e la loro totale inconsistenza.

Ciò non toglie che alcune cadute di tensione o pregi che possono suonare anche difetti, non siano mancati. In alcune parti (leggi la seconda metà) il racconto è diseguale, il ritmo un po’ stanco e non tutti i personaggi hanno eguale sapore di verità e simbolo insieme. Qualche intellettualismo o punta retorica emerge in un film che è fatto soprattutto di sentimenti e poi di cronaca sullo sfondo.

Quelle di Bellocchio sono tre storie di uomini e donne che in parte si intrecciano, in parte scorrono parallele, ma hanno due elementi in comune. Il primo è che i personaggi si misurano tutti con la morte, la vita e l’amore e ciascuno ha dentro un modo personale e complesso di accostarvisi. Dire che il film tratta di eutanasia è perciò riduttivo. In realtà i tre temi fondamentali sono parte di un tutto e questo è il senso principale dell’opera Bellocchio. Altro elemento comune è lo sfondo: la vicenda di Eluana Englaro (febbraio 2009), rappresentata tramite spezzoni di cronaca ottimamente montata. Tale cronaca è discreta e in secondo piano, mentre la parte del leone la giocano i sentimenti e quello che essi scatenano tra i diversi personaggi.

Vediamo ora in sintesi le storie immaginarie con valore simbolico. Un senatore già socialista passato a Forza Italia si reca a Roma per votare il decreto urgente richiesto dal governo Berlusconi per vietare che a Eluana sia sospesa l’alimentazione forzata. Ma dentro di sé il politico è in forte crisi su quel voto, perché nel suo passato c’è stata un’esperienza analoga e sconvolgente. La sua figlia Maria (Alba Rohrwacher) è intanto partita anche lei, ma diretta a Udine per manifestare da buona cattolica contro chi vuole mettere fine all’esistenza della ragazza. In questo viaggio la giovane incontrerà l’amore nella persona di un ragazzo che la pensa in modo opposto.

C’è poi una madre ex-attrice (Isabelle Huppert) la cui figlia è in coma totale. La donna ha rinunciato alla carriera e agli altri affetti per curarla, ma sente che la sua fede non basta e si dibatte tra varie angosce. Terza vicenda quella di una giovane tossicomane (Maya Sansa, magnifica interprete) che desidera morire perché la vita non le interessa più e tenta il suicidio. Ma un giovane medico dell’ospedale, mentre la donna giace in coma, la veglia di notte aspettandone il risveglio.

A questo punto la sceneggiatura sempre accurata (di Marco Bellocchio, Veronica Raimo e Stefano Rulli), con uno scatto di fantasia, sceglie di farla risvegliare così come nel film su Aldo Moro lo statista alla fine del racconto passeggia libero per la strada.

Per concludere con tatto, per non far torto a nessun punto di vista, forse eccessivamente e con una forte attenzione al particolare umano persino nella gestualità minima, il regista non tralascia di dar voce anche al suo impegno civile. Lo fa sommessamente esprimendo poche volte, ma chiaramente, la propria posizione favorevole alla libertà di scelta, su un tema delicato, poco governabile con una legge nelle sue intime pieghe e contraddizioni. Olga di Comite
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