| 
|
CENNI
DI STORIA DEL CINEMA ATTRAVERSO GLI INTERPRETI.
DAL CINEMA MUTO AGLI ANNI '60
A
cura di Pierluigi Capra
|
Rubrica
a cura di Pierluigi
Capra
sulla Storia del Cinema attraverso gli interpreti,
dal Cinema muto agli Anni '60. La prospettiva
che si pone questa rubrica è il cinema visto dalla
parte degli interpreti. Spesso si esalta il lavoro dei
registi che inventano, studiano, creano il film, ma a decretarne
il successo è determinante l'interpretazione degli
attori, delle attrici, dei divi, delle star. Sono gli interpreti
che anticipano i modelli estetici, che ci richiamano alla
mente i film, ci mettono in rapporto con il cinema. Sono
i divi, specie quelli cui si rivolge l'interesse di questa
rubrica, che riflettono la dimensione ultraterrena, olimpica,
eccessiva, trascendente del cinema. Nella loro fisicità e
nel loro splendore sono comete che attraversano il mondo
dorato della finzione cinematografica. Diventano quasi
eroi esemplari, modelli di bellezza, miti di giovinezza.
E' l'attore che ruba qualcosa al momento in cui il film è stato
prodotto, lo custodisce gelosamente al riparo del tempo
e ce lo restituisce, nel momento in cui lo vediamo o lo
rivediamo. Il divismo europeo, e ancor più quello
americano, ci fa vendere le star modificando la loro reale
identità: i confini tra personaggio e interprete
si vanno sempre più assottigliando fino a confluire
in una precisa identificazione. Sono proprio gli interpreti
che mantengono vivo il ricordo della pellicola nella mente
dello spettatore, specialmente nel primo cinema fino agli
Anni '60, in un'epoca in cui le proiezioni cinematografiche
conservavano ancora intatta la loro caratteristica di evento
pubblico non essendo ancora fruibili in un contesto domestico
privato e non essendo ancora diffusa la televisione. Aumenta
la possibilità di identificazione, di imitazione
e di riproduzione del gesto divistico anche nella vita
quotidiana: la pettinatura, gli abiti, le pose gli atteggiamenti,
i movimenti del corpo diventano fenomeni che si diffondono
proprio grazie alle star del cinema. In campo femminile
le dive che sono emerse da classi sociale modeste, assumono
un ruolo pubblico ancor maggiore; incarnano la possibilità di
affrancarsi da una condizione socialmente subalterna. C'è un
non so che di imperscrutabile, indefinibile, languido,
ineffabile nelle immagini degli attori. Dall'alto del loro
Olimpo i divi del cinema, fossero di Hollywood o di Torino,
hanno contribuito indubbiamente a delimitare i confini
del gusto e dell'etica, del bello e della tradizione,
della morale e del costume nella cultura del nostro tempo. Buona
lettura. |
|
BREVE
STORIA DEL CINEMA MUTO |
Il
cinema nasce ufficialmente con una rappresentazione
pubblica a pagamento, nel seminterrato del "Gran
Caffè" (al Salon Indien), sul Boulevard-des-Capucines
a Parigi il 28 dicembre 1895. L'ingresso
costava 1 franco; il primo giorno vennero incassati
35 franchi,
ma tre settimane dopo si arrivava già a 2000
franchi al giorno. I fratelli Louis e August
Lumiere proiettarono
alcuni brevi film con immagini in movimento: L'Uscita
dalle officine Lumière (Sortie des
ouvries de l’usine Lumière) e una farsa
intitolata Il giardiniere, che divenne
poi L'innaffiatore
innaffiato (L'arroseur arrosé), considerato
oggi il primo film di finzione della storia del cinema:
la storia di uno scherzo fatto da un ragazzo a un
giardiniere che sta innaffiando un giardino. In seguito
fu girato un altro breve film divenuto celebre, L'Arrivo
di un treno alla Gare de la Ciotat (L'arrivé e
d'un train à la Gare de la Ciotat): si vede
la stazione, una signora con un grande cappello,
il treno che giunge e si dirige verso la macchina
da presa. La scena, secondo quanto si racconta, provocò il
panico nella sala di proiezione tra il pubblico ancora
incapace a distinguere tra finzione e realtà.
Una scena di indubbio realismo. In Italia, al nord Vittorio
Calcina e al sud Francesco
Felicetti, svolsero lo stesso ruolo promozionale,
organizzativo e di realizzazione delle proiezioni filmiche
l’anno
dopo: nel 1896. Sia il romano Felicetti,
sia il torinese
Calcina, erano fotografi ed entrambi
utilizzavano la sala di proiezione anche come studio
fotografico. In seguito furono costruite sale cinematografiche
più grandi
e numerose, per raggiungere un pubblico di livello economico
maggiore (dette nickel-odeons perché il biglietto
d'ingresso costava un nickel, cioè 5 centesimi
di dollaro), che affiancarono le sale tradizionalmente
dedicate agli strati più poveri della popolazione.
Il cinema si stava imponendo come fenomeno di cultura
e
di costume, la sua influenza si esercitò sui
comportamenti individuali e collettivi, sulla moda, sulle
scelte morali e sociali, sui gusti. Vedere immagini in
movimento proiettate su uno schermo accompagnate o meno
da parole, musiche, suoni costituisce
una innovazione estetica e tecnologica tale, da scompaginare
addirittura le concezioni spaziali e temporali precedenti.
Si può ben dire che il cinema, una volta entrato
nella prassi abitale dell’uomo, abbia stabilito
sconosciuti rapporti con la realtà circostante,
nuove abitudini mentali. Era il realismo della rappresentazione
che colpiva il pubblico meravigliandolo, << era la naturalezza
e
la verità degli oggetti e dei personaggi semoventi
che costituivano il fascino e la novità dello
spettacolo >> come scrive Gianni Rondolino.
L'attrattiva sottile di osservare accuratamente fatti
e situazioni
come se fosse la prima volta, come se ci si accorgesse
improvvisamente che anche gli aspetti più ordinari,
secondari e trascurabili della quotidianità hanno
un significato e una funzione. Proprio nel periodo del
muto nasce la maturazione, la ricerca, la sperimentazione
che anticipa i modelli estetici
e la tematica del cinema che verrà ampiamente
sviluppata con successo e larga diffusione più tardi.
Il difficile equilibrio tra industria e arte nel cinema è caratterizzato
dalla compresenza dei film di Ince e Sennett da
una parte e David Wark Griffith dall'altra.
Infatti quest'ultimo è stato
definito, dalla maggior parte degli storici, il primo
originale rappresentante "dell'arte del cinema". Mentre
il primo "teorico del cinema" viene
da tutti considerato Ricciotto Canudo.
Negli anni del muto, a ben vedere, non c’è sostanziale
differenza tra le produzioni europee e americane, sono
simili nei contenuti, correlati nelle forme, c’è una
stabilità tecnico-espressiva, uno standard formale
che accomuna tutte le cinematografie dell’epoca.
Sarà l’avvento del sonoro e la comprensione
delle lingue che farà nascere la "cinematografia
nazionale" mettendo maggiormente in risalto peculiarità,
caratteristiche, tipicità, originalità e
fiero orgoglio dei singoli paesi. Con la sua vertiginosa
diffusione il cinema divenne una attività industriale,
in cui valevano le regole economiche della concorrenza;
tutti i fenomeni connessi
al cinema, tra cui il divismo, sono conseguenza di questa
caratteristica di fondo. Quando si pensa al cinema muto
ci viene in mente Ridolini,
Charlot e le dive che roteano gli occhi,
ma agli inizi non esisteva un modo di narrare per immagini
per cui
il cinema non poteva far altro che ispirarsi al teatro
e la recitazione, in mancanza della parola, doveva per
forza essere esagerata, spinta all'eccesso, enfatica.
Solo negli anni '20 i critici tendono a stigmatizzare
questo tipo di interpretazioni infiammate, si può dire
che dopo Assunta Spina si afferma una
formula recitativa più sobria, composta, raffinata
che non ha più bisogno
di andare sopra le righe per far passare il messaggio
cinema. Che cosa fa la forza di convinzione e di coinvolgimento,
l’evidenza realistica dell’immagine filmica
del cinema muto, la sua credibilità assoluta?
Essenzialmente il movimento! E’ il movimento che
conferisce all’immagine
degli oggetti e dei personaggi una corporalità,
un peso, un volume, che la stacca dal piano, che la schiude
ad un’esistenza quasi autonoma. Il movimento assegna
verità alla ricostruzione cinematografica, non è indispensabile
la parola. E’ dall’indipendenza delle inquadrature
tra loro, o meglio dalla scelta delle immagini frammentate
che nasce la possibilità espressiva del cinema
e che << il cinema nacque in quanto arte >> come
afferma André Malroux. E’ la
ricerca delle immagini, la successione delle immagini
significative
che definisce il cinema. Secondo René Clair gli
eroi dello schermo nel cinema muto, << parlavano
all’immaginazione dello spettatore con la complicità del
silenzio >>. Il primo studioso del muto, Sebastiano
Arturo Luciani,
individua nel nuovo mezzo le enormi possibilità del
fantastico cinematografico. Per lui << luce e ritmo
sono i principali ordinatori della nuova arte >>.
Si scopre la sconfinata libertà che consente il
cinema, la capacità di rappresentare argomenti
fiabeschi e fantastici, che il palcoscenico del teatro
non consente. Le ombre e le luci dei film determinano
effetti dinamici mentre fino ad allora si conoscevano
solo gli effetti statici del disegno e della pittura.
Il cinema è, in ordine di tempo, la prima arte
dello spettacolo realmente popolare. La musica poi diventava
l’elemento necessario per la perfetta integrazione
di tutti gli elementi. E quando entrerà la parola,
indissolubilmente legata all’immagine, si formerà "una
coppia espressiva" il sui significato sarà capito
da tutti, molto di più di qualsiasi testo letterario
scritto. Naturalmente la polemica era viva anche allora.
Le discussioni su che cosa doveva essere il cinema erano
pressanti.
D'Annunzio e Canudo privilegiavano
il realismo. Per il regista Baldassarre Negroni <<
il cinematografo è essenzialmente
visione, ma è visione non solamente di monumenti
o di belle messinscene, ma di fatti umani >>, per
la buona riuscita di un film è essenziale soprattutto
<< dare riproduzioni fedeli della vita quale la si vive
>>. Il cinema divenuta fenomeno sociale non più solo
rivolto al consumo delle classi meno agiate, ma business
e anche riutilizzo delle professionalità prima
legate al teatro e al varietà. Comincia a essere
considerato arte e dunque sottoposto all’attenzione
dei critici e degli intellettuali. Tra i primi a occuparsi
esteticamente del cinema è in
Francia, il già citato, Ricciotto Canudo che
nel 1911 espone le sue idee nel "Manifesto della settima
arte" (Manifeste de la Septième art): per
la prima volta si argomenta sul cinema inteso come arte,
e come arte totale sull’esempio del modello wagneriano.
<< La settima arte concilia tutte le altre >>. Se l’Italia
produce, nel solo 1913, quasi 500 film significa che
il cinema ha davvero "contaminato" tutti
gli ambienti. Qualcuno teme la concorrenza che il cinema
porterà al
teatro, ma presto tutti capiranno che si tratta di due
cose ben distinte con precisi significati, specifici
linguaggi e partico lari valori. Il cinema non è nato
come corollario del teatro, ma come forma d’arte
a se << con una propria grazia ardita e profonda >> come
ebbe a dire Nino Oxilia già nel
1913. Una forma d’arte nuova ancora esitante e
indecisa, ma che cerca già di individuare << la
forma concreta della verità in certi suoi atteggiamenti
tipici >>.
Il cinema per Oxilia era << sole, luce
e bellezza >>. Mentre Guido Gozzano aveva un’idea
ben diversa del cinema agli esordi, lo considerò,
in un’intervista
del 1916, << un’industria di celluloide.
Una cortigiana molto ricca che sa camuffarsi, ma l’imitazione
della principessa resta pur sempre un’imitazione
>>. Comunque anche Gozzano pensava
ad una sua successiva evoluzione verso il cinema come
<< nastro prodigioso >>. Il muto in effetti ce la metteva
tutta per apparire davvero arte a volte composta di eccentricità e
raffinatezza, altre volte assoggettata alla profondità del
significato umano. Era una forma di spettacolo artistico
non solo
per quello che diceva, ma anche per ciò che suggeriva
o semplicemente sussurrava, per il misterioso fascino
che emanava, per l’entusiasmo che destava nella
gente più semplice. Il cinema dà l’illusione
della realtà senza
esserlo, dà anche un’impressione di consistenza,
trasmette contenuti che mai potranno essere comunicati
dalla parola scritta con tanta evidenza, tanta forza
e ricchezza di dettagli. L’immagine può condensare
in un’inquadratura molte più cose di quante
se ne potrebbero descrivere in molte pagine scritte.
Durante il periodo del muto le pellicole in genere erano
accompagnate,
durante la proiezione, da un commento sonoro
dal vivo, tramite un complessino o un rumorista, più spesso
un pianista. Durante la proiezione, il pianista sottolineava
le azioni che erano proiettate sul telone, suonando a
suon di ragtime (il musicista Scott Joplin ad
esempio fece questo di mestiere) o servendosi di altre
musichette
d’accompagnamento, molte volte improvvisando. Alcuni
film prevedevano invece una partitura musicale propria,
composta appositamente. Ad esempio la partitura di Edmund
Meisel per La corazzata Potëmkin di Ejzenstejn;
quella di Antheil per Ballet
mécanique di Léger;
quella di Hindemith per Vormittagsspuk di Hans
Richter. Il cinema muto degli anni '20, che
vede imperversare in Italia Maciste e Leda
Gys, produce nel resto del mondo
capolavori assoluti e gode della massima espansione espressiva
e produttiva. Basti pensare ai capolavori dell’espressionismo
tedesco di Robert Wiene (Il
gabinetto del dottor Caligari del
1920), Fritz Lang (Metropolis del
1926) e Friedrich
Murnau (Nosferatu il vampiro del
1922) oppure alla produzione statunitense: Il
monello e La febbre dell'oro di
Charlie Chaplin, Rapacità di Eric
von Stroheim (1924), La grande parata di Kong
Vidor (1925). In Francia René Clair gira Entr’acte.
In Russia realizzano le loro più acclamate opere
registi come Dziga Vertov, Sergej
Ejzenstein, Vsevolod
Pudovkin, Grigorij Aleksandrov e Alezandr
Dovzenko. Carl
Dreyer gira nel 1928 La passione di
Giovanna d’Arco,
Luis Bunuel produce il suo primo film Un
Chien andolou nel 1929
che divenne il manifesto dei surrealisti parigini. La
parola al cinema arriverà con Il cantante
di Jazz di Alan Crosland, il
27 ottobre 1927 negli Usa. Prodotto dalla Warner
Bros e dalla Vitaphone e tratto
da una piece di Samson Raphaelson, protagonista Al
Jolson.
E’ la storia del figlio di un rabbino che si dedica
al varietà. Fu il primo film con dialoghi sincronizzati.
Vengono pronunciate in tutto meno di 350 parole. In tutto
il 1928 su 820 film prodotti negli Usa soltanto 10 sono
sonori a tutti gli effetti cioè contengono
musica e parlato. E di tutte le 22.300 sale circa 200
sono attrezzate per proiettare il sonoro. Il primo film
sonoro realizzato in Italia e distribuito nelle sale è considerato La
canzone dell’amore di Gennaro
Righelli, realizzato a Roma dalla "Stefano
Pittaluga" nei cantieri Cines e
tratto da una novella di Luigi Pirandello intitolata,
ironia della sorte...In
silenzio! Gli attori che lo interpretarono furono:
Isa Pola, Elio Steiner e Dria
Paola. Fu presentato in anteprima al "Supercinema"
di Roma il 7 ottobre 1930. Già nel 1928 però un
cortometraggio parzialmente sonoro è stato girato
a Torino dalla Fert, si tratta di Napoli che
canta con la direzione artistica
di Mario Almirante e le scenografie
di Giulio
Botto,
che venne poi interamente sonorizzato nel dicembre del
1930. Il primo film parlato, secondo Riccardo
Redi,
dovrebbe essere stato Nerone di Petrolini e Blasetti nel
novembre del 1930. Mentre il primo doppiaggio in italiano
pare sia stato
fatto sul film Milione di René Clair e
realizzato presso gli stabilimenti Caesar di Roma, diretto
da Giorgio
Mannini e terminato nel marzo del 1932. Il canto
del cigno del cinema muto, il Italia, si può dire
che sia rappresentato sostanzialmente da due film: Sole di Aless andro
Blasetti del 1929 e Rotaie di Mario
Camerini del 1930. Pur
nella relativa modestia dei loro risultati segnano comunque
una svolta nel cinema italiano anche perché hanno
avuto il merito di imporre all’attenzione degli
spettatori figure nuove del contesto sociale: operai
all’interno di una fabbrica, contadini veri, passeggeri
di un treno all’interno di una carrozza di terza
classe. La strada è aperta il muto appartiene
ormai alla storia passata. I film muti non circolano
più e
soprattutto in Italia saranno destinati ad un rapido,
quanto ingiustificato, oblio. Charlie Chaplin più di
ogni altro, si dimostra contrariato. Parla di << attacco
alle tradizioni
della pantomima >> da lui creata e che, secondo lui,
rappresentava l’essenza dell’arte cinematografica.
Pensava che riuscisse a sopravvivere poiché <<
solo nel cinema muto – diceva – c’è la
poesia del gesto >>. In effetti il "linguaggio silenzioso"
del cinema pionieristico ha tuttora grande fascino e
mantiene
intatto un valore essenziale. |
0 |
BIOGRAFIA
DI ASTA NIELSEN
|
Attrice
danese, figlia di una lavandaia di Copenhagen,
nasce, con sangue zingaro, nel 1883.
Le sue prime esperienze furono con il teatro. I suoi
esordi cinematografici
risalgono al 1910, quando la Nielsen ha
27 anni e gira il suo primo film Abisso di Urban
Gad (suo marito
fino al 1914) dove interpreta la parte di una "donna
perduta" che fu una vera e propria rivelazione.
Poi fece il film La ballerina nel
1911 con il regista danese August Blom.
Alla fine del 1911 lascia la Danimarca insiema a Gad e
si trasferisce in Germania fino alla fine degli anni
'20. Con il
film
Alla porta del carcere del 1912,
dimostra già di
aver capito che le contorsioni abituali degli attori
dell’epoca sono controproducenti. Lei infatti
punta tutto sul linguaggio della gestualità,
sulla ricchezza delle espressioni mimiche, sull’intensità dello
sguardo ipnotizzante e sulla sottintesa pulsione
erotica. Impostò su nuove basi la su presenza
sul set, liberandosi dei condizionamenti della postura.
Alta, slanciata, sensibilissima, con grandi occhi
sognanti, tra il 1910 e il 1914 gira circa 30 film
per lo più melodrammi a sfondo erotizzante.
Quando le luci si spengono e appare sullo schermo,
proprio nel primo film Abisso, la
figura danzante dal volto bianco e dalla capigliatura
corvina e ribelle
di Asta Nielsen; si sprigiona, scrivono
i critici di allora, una carica erotica che per quei
tempi
era considerata altamente sensuale. Diventa il prototipo
della donna Vamp che costituirà una delle
costanti del successivo divismo cinematografico,
sopratutto americano. I suoi film erano considerati
per adulti. Gli spettatori restano affascinati dalla
potenza espressiva di quella figura: il comico Olaf
Poulsen dichiara di << aver avuto l'impressione
di essere stato colpito da un fulmine >>. Fu
il primo esempio clamoroso di lancio divistico di
un'attrice in Italia e in Europa. Già nel
1911 in Italia si parlava della Nielsen come
della "Duse della cinematografia",
mentre in Francia veniva definita la " Sarah
Bernardt scandinava".
Nei suoi film rappresenta la donna volitiva che affronta
a muso duro un mondo soffocante e bacchettone che
si batte strenuamente per smantellare il controllo
sociale esistente sulla donna. Un certo tipo di pubblico
femminile riconosce in lei il simbolo della riscossa
e le esprime solidarietà. Negli Stati Uniti,
dove l’attrice fonda una società di
produzione nel 1920, la sua recitazione viene giudicata
come << un grido dal profondo dell’anima
>>. Orientò il suo cinema verso una
drammaturgia meno scontata affrontando testi e temi
di più profonda
risonanza umana e sociale anche se i motivi principali
del suo successo sono dovuti, come scrive Gianni
Rondolino alla << provocazione erotica e
all'anticonvenzionalità del
tratto >>. Gira nel 1919 Rausch (Ebbrezza)
di
Ernest Lubitsch tratto dal romanzo
"Delitto e delitto" di Johan
August Strindberg. Con
lo stesso regista Lubitsch ha girato
anche il film
Nel turbine. Affronta anche l'avventura
di vestire panni maschili per un Amleto diretto
da
Sven
Gade, nel 1920. Rivela il meglio di se nei
film La
signorina Giulia (Fraulien Julie)
del 1921 tratto, dall'omonimo dramma di Strindberg e Vanina di Arthur
von Gerlach del 1922 tratto dal
racconto "Vanina
Vanini" di Stendhal.
Nel 1924 non può mancare
una parte impegnata con Helda Gabler tratto
da Ibsen,
per la regia di Frank Eckstein.
Eccellente l'interpretazione
del personaggio di un'assassina acca nto
a Greta Garbo, nel 1925, nel film
di Pabst, La
vita senza
gioia, massacrato dalla censura e uscito
in Italia col titolo L'ammaliatrice.
Con il film Tragedia di prostitute per
la regia di Bruno
Rahn, nel 1927,
si distingue per l'alto livello interpretativo
raggiunto. Si può dire che la nascita del
divismo europeo coincide con il debutto della Nielsen;
l'attrice attraversa oltre vent’anni
di storia del cinema affermando l'immagine
di una donna non bella ma affascinante, attrice vera,
intelligente, oppressa da un destino avverso al quale
reagisce imponendo il riscatto di creature deboli
e maltrattate. Dominatrice del cinema europeo, elogiata
e studiata da tutti, con l'avvento del sonoro
torna a recitare a teatro in Germania, instancabile
e bizzarra come sempre. Molti personaggi eminenti
del cinema definiscono la Nielsen come
<< la più geniale attrice che lo schermo
abbia mai avuto >>. Per non aderire al nazismo
con un atto di coraggio torna in Danimarca. Nel 1972,
a 89 anni,
sposa un gallerista di 18 anni più giovane
di lei. Muore nello stesso anno.
|
|
BIOGRAFIA
DI ANNA MAGNANI
|
Lei
non è una delle tante è l'attrice
anima pulsante dell'Italia del dopoguerra.
Il simbolo di una certa epoca italiana, l'immagine
di uno stile, la rappresentazione di un modo di vita.
L'indimenticabile Pina di Roma
città aperta (1945),
del regista Roberto
Rossellini, apre un'era
nuova, ha dentro di sé la plastica capacità del
riscatto. Questo tipo di donna-coraggio, di madre
forte, di figlia del popolo, la consacrerà artista
di fama internazionale. Per questo film merita anche
il primo di cinque Nastri d'argento della
sua carriera. L'energia vitale, l'idea
della femminilità di Anna Magnani cancella
d'un sol colpo l’eterea bellezza del
cinema dei "telefoni bianchi", le dive
libellule dell'era fascista. Diventa l'attrice
dal volto umano. Con la Magnani il
ruolo della donna nel cinema viene completamente
capovolto:
non ci troviamo più di fronte a figure femminili
fragili e molto nell'ombra, ma veniamo catapultati
in un universo di umanità e di realismo espressivo
riconosciuto da tutti i critici. Nasce ad Alessandria
d'Egitto nel 1908. Perse il
ruolo di protagonista in "Ossessione" di Luchino
Visconti,
perché era in
gravidanza, ma rappresentò il neorealismo per
antonomasia; per apparire vera non doveva esser presa
dalla strada! Gennaro Righelli la dirige
in due commedie bizzarre: Abbasso la miseria del
1946 e Abbasso
la ricchezza del 1947.
Nel film L'onorevole Angelina di Luigi
Zampa del 1947,
la Magnani interpreta la parte della
popolana borgatara che arringa la folla. La vediamo poi
nel ruolo che fu di Francesca Bertini nel
film di Mario
Mattoli, Assunta Spina (1948),
un classico nel panorama del melodramma realistico italiano.
Sposa Goffredo
Alessandrini dal quale
presto si separa, e matura un amore con Roberto
Rossellini, che scrive per lei il film in due
episodi
L'amore. Anche questo amore però dura
poco poiché nel 1949 arriva in Italia Ingrid
Bergman della quale si
innamora il grande regista. Quasi per ripicca la Magnani gira Vulcano a
poche miglia di distanza dal set del film Stromboli.
Siamo nel 1950. Nannarella,
suo affettuoso soprannome, entra nell'entourage
di Luchino Visconti che le affida un
ruolo materno in
Bellissima nel 1952. La Magnani in
fondo è una
grande perdente che sa trovare nelle sue sconfitte una
dimensione eroica e umana al tempo stesso, come le accede
anche nel suo importante film francese La c arrozza
d’oro,
sempre del 1952, dove il regista Renoir fa
di lei una musa della commedia dell'arte. Si ritrova
al fianco
della Bergman, che nel frattempo ha
avuto tre figli da
Rossellini, sul set del film Siamo
donne del 1953 sia
pure in episodi diversi. Con Suor Letizia di Camerini nel
1956, meritò il
quinto Nastro d’argento.
Ancora nel 1956 la Magnani è la
prima donna italiana a ricevere un premio Oscar come miglior
attrice protagonista.
Lo ottiene per il film che Tennessee Williams ha
scritto su misure per lei: La rosa tatuata diretto
da Daniel
Mann, a Hollywood al fianco di Burt
Lancaster. L'attrice
infatti si trasferì negli Stati Uniti dal
1955 al '59. In America gira Selvaggio è il
vento (1958) di Cukor e Pelle
di serpente (1959) di Lumet.
Rifiuta la parte di madre nel film La ciociara,
offesa dall'idea di fare la "mamma" di Sophia
Loren, cui era stato proposto in un primo tempo
il ruolo di figlia. Accetta invece il ruolo di prostituta
detenuta
nel film Nella città l'inferno girato
nel carcere romano delle Mantellate nel 1958 per la regia
di Renato Castellani. Dopo un periodo
di inattività tornò a
recitare in teatro neLa lupa di Verga nel
1965 con la regia di Zeffirelli e al
cinema nel film di S. Kramer Il
segreto di Santa Vittoria del 1968. I suoi personaggi,
sempre caratterizzati da un temperamento focoso e passionale,
ma capaci di toccanti e imprevedibili dolcezze, le si
addicevano in modo perfetto. << Anna invadeva lo
schermo ed i cuori: un volto asciutto, scavato, una figura
minuta e una grande passione, un gran fuoco, una vitalità prorompente
nel portamento, intrepida, armata di un umorismo scarnificante
e che sta dalla parte giusta per istinto, per adesione
naturale >>, con queste parole la descriveva Carrano.
Il suo personaggio era capace di sconvolgere, di colpire,
di farsi amare. La sua irruenza, la sua totale mancanza
di autocontrollo, il suo gesticolare accentuato, il suo
"urlare" divengono
gli elementi principali di una sorta di svolta nel cinema
italiano. La Magnani è vicina alla gente comune
non per copione, ma per istinto, apprezzata sia per le
sue doti in campo recitativo sia per il suo modo di essere
e di vivere. Dettagli questi che hanno contribuito non
poco a creare uno dei talenti italiani più apprezzati
nel mondo. Conclude il ciclo del neorealismo italiano
e del grande cinema del dopoguerra, che aveva iniziato
con Roma città aperta, con il film di Pasolini,
allora regista esordiente, Mamma Roma del
1962. Muore a Roma nel 1973.
|
|
BIOGRAFIA
DI PEPPINO DE FILIPPO
|
Peppino
De Filippo nasce a Napoli il 26
agosto 1903.
Fratello minore di Titina ed Eduardo,
figlio naturale di
Eduardo Scarpetta e Luisa
De Filippo, debutta a
sei anni
nella compagnia di Vincenzo Scarpetta al
teatro "Valle" di
Roma, in Miseria e nobiltà, nella parte
di Peppeniello, il figlio di Felice Sciosciammocca.
Ben presto la sua inquietudine lo porta però a
passare in formazioni dialettali secondarie,
dove ha modo di farsi le ossa. Nel 1920 entra
nella compagnia
di prosa Molinari (dove conosce Totò)
al teatro "Nuovo" di Napoli, lavora poi con la
compagnia dialettale
di
Francesco Corbinci al teatro
"Partenope".
Fa parte ancora delle compagnie di Villani nel
1921, di Urcioli-De Crescenzo e
di Salvatore
De Muto "L'ultimo
Pulcinella" nel 1925, di Aldo Bruno nel
1926. Nel 1927 viene assunto nuovamente della
compagnia
di Vincenzo Scarpetta, occupando
il posto del fratello Eduardo passato
alla Carini-Falconi.
Il 10 ottobre
1929 sposa Adela Carloni e,
l'anno dopo, nasce il figlio Luigi che
segue le orme del padre e recita
ancora oggi in teatro. Eugenio Aulicino,
impresario del teatro "Nuovo", assume, nel 1929, Eduardo
e Peppino al posto di Totò;
nel teatro già lavora Titina e
i tre danno vita ad una formazione artistica
denominata "Il
teatro umoristico napoletano di Eduardo De Filippo
con Peppino
e Titina", vi fanno parte anche Tina
Pica, Carlo Pisacane, Agostino
Salvietti e Giovanni
Berardi. Nel '31 si danno un nuovo appellativo
"Compagnia Teatro Umoristico i De Filippo".
Nel '32 sono al"“Sannazzaro" di Napoli
con Chi è cchiù felice’e
me di Eduardo e con Amori
e balestre di Peppino e
poi con molte altre commedie destinate a riscuotere
entusiasmanti successi. La più celebre
resta la straordinaria e insupera bile Natale
in casa Cupiello che
ancora oggi viene riproposta in tutti i teatri
d'Italia da Carlo Giuffrè.
Alla sua carriera di attore egli alternava quella
di autore
di testi teatrali, cominciando a scrivere con
lo pseudonimo di "Bertucci".
Il sodalizio durò 15 anni, durante i quali
il successo fu quasi sempre puntuale. Una vera
e propria
epoca d’oro per il teatro dei tre fratelli
De Filippo. Quando, nel 1944,
al teatro "Diana" di Napoli la compagnia si scioglie
per incomprensioni
tra Eduardo e Peppino,
(pare che Eduardo non
mancasse mai di rimproverare al fratello la benché minima
mancanza ed andasse assumendo sempre più una
veste dispotica). Nello stesso 1944 Peppino ricominciò per
conto suo al teatro "Quattro Fontane" di
Roma con Imputato alzatevi e Non
sei mai stato così bello.
Nel 1945 si separa dalla moglie e debutta con
la sua nuova compagnia a Milano, al teatro "Olimpia",
con I casi sono due. Gira in
lungo e in largo l'Italia
con Quelle giornate per due
stagioni consecutive con ben 266 repliche. Dal
1959 al 1969 gestisce
il "Teatro
delle Arti" a Roma e, con la sua compagnia,
mise in scena, oltre ai suoi lavori, testi di
Moliere, Pinter, Goldoni, Bracco, Pirandello,
Bernard e tanti
altri ancora. Egli si dedicò ad un teatro
fatto di farsa e comicità, rivolgendo
le sue mire ad un genere più in lingua
che dialettale. E fu un corretto italiano, senza
gigioneria di accento
o leziosità. Nel 1971 scompare Livia
Maresca,
sua compagna d'arte e di vita. Nel 1977
sposa Clelia Mangano, sua partner
nella compagnia teatrale.
Peppino non si limita al nostro
paese: nel '56 è in
tournee in Sud America e Spagna;
nel '63 è a
Parigi dove riceve un premio
per la sua opera
Le metamorfosi di un suonatore ambulante;
nel '64 è ospite
a Londra dell'Aldwich Theatre;
nel '65 è a
Praga e in Unione Sovietica;
nel '66 è in
Jugoslavia e in Svizzera;
nel '69 in Portogallo, Spagna e Francia;
nel '74 ritorna a Londra. Anche
il grande schermo lo vide protagonista.
Fa il suo esordio, assieme ad Eduardo,
con Tre
uomini
in frak del 1932, per la regia di Mario
Bonnard.
Per la verità occorre dire che al cinema
fece un po' troppe concessioni ad esibizioni
mediocri e commerciali, poco adatte a metterne
in luce le sue migliori qualità artistiche.
Comunque notevoli e importanti furono le eccezioni.
Basti
pensare a Luci del varietà del
1950 di Federico
Fellini e Alberto Lattuada,
dove Peppino interpreta
il ruolo di uno straordinario capocomico; Policarpo,
ufficiale di scrittura del 1958 per
la regia di Mario Soldati, in
cui indossa i panni d'un pignolo capoufficio; Le
tentazioni del dottor
Antonio, episod io
del film Boccaccio '70 ancora
firmato da
Fellini, nel 1962 che lo vede
ragioniere moralista e bigotto.
Senza dimenticare il sodalizio quasi decennale
con Totò, che produce
tra il '55 ed il '63
ben 14 pellicole. Peppino seppe,
con enorme bravura, tener testa allo scatenatissimo
"Principe
del sorriso", Antonio De
Curtis. E non
fu cosa da poco. L'unico riconoscimento
che ebbe nella sua lunga carriera fu il Nastro
d’argento che
gli venne assegnato quale attore non protagonista
per Totò, Peppino e i fuorilegge del
1956. In televisione conobbe un momento di eccezionale
popolarità col personaggio di Gaetano
Pappagone, nel varietà del sabato
sera
"Scala Reale" abbinato
alla Lotteria Italia del 1966. L’arguta
macchietta napoletana, eterna maschera del "povero
di spirito", in realtà era assai
più acuto di quanto non apparisse a prima
vista. E' anche stato uno degli eroi del
Carosello televisivo per la famosa serie di una
marca d'olio "Peppino
cuoco sopraffino" dal 1959 al 1963. Scompare
il 26 gennaio del 1980 a Roma.
Filmografia
completa di Peppino De Filippo
Tre
uomini in frak (1932)
Cappello a tre punte (1934)
Quei due (1935)
Sono stato io (1937)
L’amor mio non muore... (1938)
Il marchese di Rovolito (1938)
In campagna è caduta una stella (1939)
Notte di fortuna (1940)
Il sogno di tutti (1940)
L’ultimo combattimento (1940)
Le signorine della villa accanto (1941)
A che servono questi quattrini? (1942)
Casanova farebbe così (1942)
Non ti pago (1942)
Campo de’ fiori (1943)
Non mi muovo! (1943)
Ti conosco, mascherina! (1943)
Io t’ho incontrata a Napoli (1946)
Natale al campo 119 (1948)
Biancaneve e i sette ladri (1949)
Vivere a sbafo (1949)
Bellezze in bicicletta (1950)
La bisarca (1950)
Luci del varietà (1950)
Cameriera bella presenza offresi (1951)
La famiglia Passaguai (1951)
Signori, in carrozza (1951)
Non è vero ma ci credo (1952)
Ragazze da marito (1952)
Totò e le donne (1952)
Una di quelle (1952)
Martin Toccaferro (1953)
Siamo tutti inquilini (1953)
Un giorno in pretura (1953)
Via Padova 46 (1953)
Le signorine dello 04 (1954)
Accadde al penitenziario (1955)
Cortile (1955)
I due compari (1955)
Io piaccio (1955)
Motivo in maschera (1955)
Piccola posta (1955)
Gli ultimi cinque minuti (1955)
La banda degli onesti (1956)
Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo (1956)
Totò, Peppino e i fuorilegge (1956)
Totò, Peppino la e la malafemmina (1956)
La nonna Sabella (1957)
Peppino, le modelle e chella llà (1957)
Vacanze a Ischia (1957)
La nipote Sabella (1958)
È permesso maresciallo? (1958)
Anna di Brooklyn (1958)
Pane, amore e Andalusia (1958)
Policarpo ufficiale di scrittura (1958)
Totò, Peppino e le fanatiche (1958)
La cambiale (1959)
Arrangiatevi! (1959)
Ferdinando I° Re di Napoli (1959)
Genitori in blue jeans (1959)
Peppino e le nobile dama (1959)
Il mattatore (1960)
Letto a tre piazze (1960)
Chi si ferma è perduto (1960)
Signori si nasce (1960)
A noi piace freddo...! (1961)
Gli incensurati (1961)
Totò, Peppino e la dolce vita (1961)
Il carabiniere a cavallo (1961)
I quattro monaci (1962)
Boccaccio ’70 (1962)
Totò e Peppino divisi a Berlino (1962)
Il mio amico Benito (1962)
Il giorno più corto (1962)
Gli onorevoli (1963)
I quattro tassisti (1963)
Adultero lui, adultera lei (1963)
Totò contro i quattro (1963)
I quattro moschettieri (1963)
La vedovella (1964)
Made in Italy (1965)
Rita la zanzara (1966)
Ischia operazione amore (1966)
Non stuzzicare la zanzara (1967)
Soldati e capelloni (1967)
Zum zum zum (1969)
Lisa dagli occhi blu (1969)
Gli infermieri della mutua (1969)
Zum zum zum n°2 (1970)
Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la
mossa (1970)
Giallo napoletano (1978)
|
|
BIOGRAFIA
DI HAROLD LLOYD
|
Nato
in Nebraska nel 1893.
La sua è una sorte curiosa.
Considerato uno dei tre più grandi comici
americani del muto, per alcuni anni ebbe un successo
addirittura maggiore di Charlie Chaplin e
di Buster
Keaton. Però, a differenza degli
altri, lui veste i panni di un tipo comune che quasi
si nasconde
nella folla americana, il vicino della porta accanto
e proprio per questo è meno conosciuto dai
giovani. Giovanotto di provincia, figlio di un fotografo,
sceglie la strada dei teatri di varietà e
alla fine si imbatte in un produttore cinematografico
come Hal Roach (fu colui che impose
e sorresse per molti anni la fama e il successo popolare
della coppia
Stan Laurel e Oliver Hardy).
Insieme inventano il personaggio di "Luca
il solitario" (Lonesome
Luke) e girano un centinaio di cortometraggi
che
godono il favore del pubblico. Ma ancora non basta,
il personaggio non è bene a fuoco. Lo diventerà quando
Lloyd si metterà sul naso,
dal 1917, grossi occhiali da miope cerchiati di tartaruga
che riesce
a non rompere mai anche attraverso le peripezie più paradossali,
in testa un cappellino di paglia, un abbigliamento
un po’ démodé con giacca e farfallino
(o cravatta). Affinerà le proprie abilità acrobatiche
che utilizzerà sapientemente come una sorta
di pausa farsesca nella partitura umoristica dei
suoi film, tanto da meritarsi il titolo di "re
della comica temeraria". Ha creato
un personaggio emblematico gentile e raffinato, coerente
con la
sua notevole cultura classica e con la sua personalità seria
e posata. Mantenne una scintillante immagine esemplare
per l'intera sua esistenza; ne può essere
testimonianza il fatto che egli si sia sposato una
sola volta mentre molti suoi colleghi dell'epoca
cambiavano le mogli quasi come le camicie. Sposò l'attrice
Muldred Davis, la vedette femminile
nei suoi film dal 1919 al 1923, e visse con lei 46
anni di felice
esistenza coniugale. Rappresentò nei suoi
film e anche nella vita l'immagine della riuscita
e dell'ottimismo. Il suo personaggio fu un
po' incosciente e ingenuo, sempre uguale e
sempre diverso, afflitto da una timidezza congenita,
ma al tempo stesso astuto, sempre pronto a superare
le difficoltà con apparente disinvoltura.
Figura sobria, ma efficace che farà la sua
gloria ed alla quale resterà fedele fino alla
fine della sua carriera. La maggior parte dei suoi
film, quasi tutti diretti da Fred Newmeyer e Sam
Taylor, erano costruiti sui casi che Lloyd doveva
affrontare per affermare la propria personalità e
far bella figura davanti
alla propria ragazza, doveva fare il personaggio
timido e impacciato, ma coraggioso
e intraprendente. Rincorre avventure pericolose sempre
in bilico tra incidenti da brivido e gag esilaranti,
trovate comiche ed esiti drammatici. Bianchissimo
in volto, pieno di buona volontà, simpatico,
pasticcione, intrepido, ma sempre leale. Il suo entusiasmo è solare
e interpreta degnamente l'America dell'età del
Jazz. Gianni Rondolino l'ha definito <<
un genio della comicità discreta >>.
Perennemente alle prese con problemi di tempo e di
orologi (grandi
e piccoli) seppe coniugare la velocità frenetica
delle comiche di Mark Sennett con
la precisione geometrica dei tempi e dello stile
di Hal Roach, suo mentore.
Nel periodo tra il 1919 e il 1921, girerà moti
corti insieme a Bebe Daniels e Snub
Pollard come
principali partners. Poi passerà ai lungometraggi.
Spesso, evitando le controfigure, sotto la regia
di Fred Newmayer interpreterà film spassosi
come Il talismano della nonna nel 1922, Accidenti
che tranquillità! e Preferisco
l'ascensore! (1924), Viva
lo sport! (noto anche come Io e
la palla)
nel 1925. Memorabile, nel film, l'episodio
della matricola che, per tenere alto l'onore
della propria università, s'improvvisa
campione di baseball e vince, proprio lui che ci
vede poco e gira, da buon snob, tutta la scena con
l'immancabile paglietta sulla testa. Nel film
Preferisco l'ascensore, del 1923, di Fred
Newmeyer e Sam Taylor,
l'incosciente Lloyd è alle
prese con una sequenza mozzafiato: la scalata di
un edificio di 12 piani resa possibile da una serie
di accorgimenti tecnici e l'impiego di un acrobata
nei campi lunghi, lui finisce aggrappato a un orologio
e rischia la vita sospeso nel vuoto in precario equilibrio
sulla strada sottostante. Un'altra volta, nel
film Il castello incantato (1920), gli scoppia in
mano una piccola bomba, mentre tenta di accendersi
una sigaretta con la miccia, e perde due
dita. N el
1928 gira A rotta di collo di Ted
Wilde e Follie
del cinema nel 1932. Sono esempi significativi di
cinema comico in cui il meccanismo della comicità è compiuto.
Il riso è frutto di una calcolata successione
ritmica di sequenze opportunamente calibrate insieme
all'approfondimento psicologico del personaggio,
non più semplice e mera macchietta. Poi le
situazioni comiche e grottesche si ripetono e lo
scatto del giovane ingenuo capace di sfidare il mondo è meno
pronto ed efficace sullo schermo. Harold
Lloyd è troppo "lunare" e
smarrito per poter parlare e con il sonoro la sua
storia è chiusa. Vera icona del pubblico americano
fu anche oculato poiché fu uno dei pochi attori
nella storia del cinema che abbia acquistato i diritti
su tutti i film in cui compare. Con la fine del muto
cessò anche il suo successo al cinema, ma
seppe rimanere popolare e ricchissimo fino alla sua
morte che avvenne a Beverly Hills,
in California, nel 1971.
|
0
|
BIOGRAFIA
DI JOHN BARRYMORE
|
Pseudonimo
di John Blythe. Nato a Philadelfia nel 1882 e
morto a Hollywood nel 1942.
Quella di
Barrymore è stata
una grande famiglia di attori, John era
fratello di Ethel, che debuttò nel
cinema presto ma poi lavorò in teatro fino
alla metà degli
Anni '40 e di Lionel, famoso caratterista
corpulento e sornione. Appaiono tutti e tre in un
solo costosissimo
film (più di un milione di dollari dell'epoca), Rasputin
e l'imperatrice del 1932.
Dopo di loro ci sono una seconda e terza generazione. John incarnò sullo
schermo il romantico seduttore dall'oscuro passato
e dall'incerto futuro. Profilo perfetto (fu soprannominato "Il
Grande Profilo") e ombra di malinconia
negli occhi, costituì un modello per tanti
altri attori che aspiravano ai vertici di Hollywood.
John
Barrymore fu una figura di statura mitica nell'olimpo
del muto. La sua era una bellezza patrizia, quasi
inusuale. Teatrale, eccessivo, melodrammatico nella
vita e sullo schermo, capace di straordinari e toccanti
intimismi recitativi, seppe passare dal muto al sonoro
scivolando con la struggente e insensata levità del
dongiovanni impenitente e dell’alco lista cronico
da un amore all'altro. Rispetto al fratello, << possedeva
certamente più fascino, ma meno talento e
versatilità >> come sostiene Fernaldo
Di Giammatteo. Fu un protagonista assoluto,
per vocazione, di film diventati veri e propri classici,
tra questi Dottor
Jekyll e Mister Hyde del 1940 per la regia
di J. Robertson. Esordì nel 1912 con il film
The Great Profile. Divenne un divo a partire dagli
Anni '20. Sostenne con simpatica e aristocratica
spavalderia il ruolo di protagonista nel film Don
Giovanni e Lucrezia di Alan Crosland del 1926 dopo
essersi calato nel ruolo di Lord Brummel nell'omonimo
film di H. Beaumont due anni prima. Lavora accanto
al fratello Lionel nel suggestivo Grand
Hotel del
1932 di E. Goulding dove tiene testa a Greta
Garbo.
Nel 1933, in Pranzo alle otto per la regia di G.
Cukor, affronta la brillante compagnia di Jean
Harlow e Wallace
Beery ed il film risulterà delizioso.
E' stato, negli Anni '30 e '40, uno dei divi su cui
la MGM ha fatto maggior affidamento. Le sue vicende
private, quattro mogli, una pletora di scandali,
la vita sregolata, l'insano alcoolismo e la malattia,
riempirono le pagine delle cronache rosa e delle
riviste scanda listiche del tempo. E’ il mito
che contempla se stesso, molti suoi ritratti hanno
già la malinconia del tramonto annunciato.
Non riuscirà a controllarsi e si avvierà verso
una penosa decadenza. Morì che era l'ombra
di se stesso, di polmonite, nel 1942. Gli ultimi
set erano costellati di bigliettini con le battute
da recitare. Ormai non ricordava più nulla.
Genio e sregolatezza. Oltre a quelli citati ricordiamo
alcuni tra i suoi film più importanti:
Aquile tonanti (1952)
La donna invisibile (1940)
The Great Man Votes (1939)
La signora di mezzanotte (1939)
Maria Antonietta (1938)
Bulldog Drummond - Situazione pericolosa (1938)
Il falco del nord (1938)
La moglie bugiarda (1937)
Primavera (1937)
Giulietta e Romeo (1936)
Ventesimo secolo (1934)
Ritorno alla vita (1933)
Giuro di dire la verità (1932)
Febbre di vivere (1932)
Il mostro del mare (1926)
|
0
|
BIOGRAFIA
DI BARTOLOMEO PAGANO
|
Popolarissimo
attore in grado di costituire da solo e per lungo
tempo un fenomeno divistico al maschile. Maciste è l'autentico
eroe popolare positivo. Nasce dalla fantasia di Gabriele
D'Annunzio come superuomo in contrapposizione
agli eroi delle sue avventure intellettuali. Le sue
interpretazioni
sono fondate sull'azione e sulle continue e sempre
più audaci dimostrazioni di forza. La sua
recitazione è ridotta al minimo e non possiede
quella caratteristica enfatica tipica di quasi tutti
gli attori dell'epoca. Il suo personaggio a partire
da Cabiria fino alle soglie del
cinema sonoro è uno
dei veicoli più usati per l'esaltazione degli ideali
nazionalisti. E' il protagonista di vicende
che lo vedono muoversi non solo lungo tutto l'arco
della storia dalle guerre puniche al fascismo, ma
soprattutto agire in una topografia che travalica
i confini nazionali per spingersi fino in America.
Pagano lavorava al porto di Genova
come scaricatore. Cercavano un uomo forte e robusto
per un film storico
e tra i tanti che si presentarono al provino scelsero
lui. Divenne Maciste, antichissimo
soprannome di
Ercole. Fu la sua fortuna. Nei primi
anni guadagnava 20 lire al gior no, poi pian piano
e suoi compensi
sono diventati favolosi fino a toccare le 600.000
lire l'anno, cifra che poneva il Pagano tra
i divi più pagati del cinema italiano. Accompagna
la parabola del cinema muto italiano dalla sua massima
espansione alla sua agonia. Sostiene, in certi casi
da solo, la sopravvivenza di una produzione ormai
priva di mezzi e di idee. Grazie a Pagano la
casa di produzione Fert, dopo la
crisi e il
fallimento dell'UCI, riesce a non chiudere
i battenti. Ogni anno vengono messe in cantiere due
o più opere
che lo vedono protagonista. Dopo essere stato diretto
da Pastrone nei suoi primi film, Pagano passa
l'ultimo decennio del muto sotto vari registi. I
suoi titoli
più significativi sono: Maciste alpino di
Luigi Maggi (1916), Maciste
contro la morte di Romano
Luigi Borgnetto (1919), Maciste
innamorato di Borgnetto (1919), Il
testamento di Maciste e Il viaggio
di Maciste entrambi di Carlo Campogalliani (1920), Maciste
in vacanza e Maciste salvato dalle
acque entrambi
di Borgnetto (1921), Maciste
e il nipote d'America di Eleuterio
Ridolfi (1924), Maciste imperatore (1924)
di Guido Brignone. Da ricordare
con particolare sottolineatura
Maciste all'i nferno, film grottesco
e geniale di Guido Brignone del
1925, un'allegra sarabanda dove Maciste ingaggia
furibonde lotte con i diavoli dell'inferno e viene sedotto
dalle belle diavolesse. La critica
riconobbe in quel film un non comune << intendimento
d'arte >> e una << genialità e
fantasia insolita >>. E' piacevole,
divertente, pieno di trucchi e trovate astute. Ricordiamo
ancora:
Maciste nella gabbia dei leoni di Guido
Brignone e Maciste
contro lo sceicco di Mario Camerini entrambi
del 1926. L'anonima Pittaluga presenta
nel 1926 anche Il gigante delle Dolomiti dove Bartolomeo
Pagano, che compare con grande spazio nel
cartellone di presentazione del film, è più umanizzato,
le sue imprese sono più credibili e adatte
anche ad un pubblico più esigente. La direzione
artistica è di Guido Brignone.
Poi nel 1927
Il vetturale del Moncenisio di Baldassarre
Negroni e l'anno
dopo Giuditta e Oloferne, sempre
di Negroni.
Con la sua immagine di raddrizzatore di torti, di
difensore di deboli, donne e bambini viene
spesso strumentalizzato dal nascente regime fascista.
Maciste sopravvive alla crisi del
divism o e del cinema del dopoguerra. Genera altri
personaggi capaci, come
lui, di grandi performance spettacolari, ma non in
grado di offrire un punto di riferimento per l'immaginario
collettivo. Ricordiamo quelli che hanno tentato di
imitare Maciste, ma con risultati
molto più modesti:
Luciano Albertini con Sansone, Domenico
Gambino con
Saetta, Alfredo Boccolini con Galaor, Mario
Guaita con Ausonia, Francesco
Casaleggio con Fracassa, Carlo
Aldini con Aiax. Riusciranno
comunque, per alcuni anni, a competere sia con Maciste sia
coi film americani. Poi la crisi del cinema e l'avvento
del sonoro
emarginò l'attore. Molti italiani in
quegli anni per poter lavorare nel cinema, andarono
in Germania. << Non me la sono sentita di
emigrare... >>, disse il Pagano:
<< Ho dato uno sguardo al mio conto
in banca e ho deciso di dedicarmi per
sempre
al mio
ultimo film: "Maciste a riposo!" >>.
Gigante non solo buono, ma anche
sottilmente ironico...
|
|
BIOGRAFIA DI LEDA GYS |
Regina incontrastata della casa di produzione napoletana Lombardo Film fondata nel 1919 dal marito Gustavo Lombardo, la Gys è stata << una delle poche dive capaci di lasciare una traccia nella memoria dello spettatore italiano >> come afferma Gian Piero Brunetta. I maggiori successi, del suo pur ampio repertorio, sono raggiunti in opere tipicamente napoletane legate a sceneggiate, canzoni e testi dialettali. Riesce bene nei film dove interpreta ruoli di sbarazzina. E' la classica reginetta perpetua della festa specie nei film napoletani. I suoi principali film sono: Histoire d’un Pierrot di Baldassarre Negroni, con Francesca Bertini, Emilio Ghione della Celio Film (1914), Chritus di Giulio Antamoro (1916), La Principessa di Camillo De Riso (1917), Sole e La Donna che inventò l'Amore di Giulio Antamoro (1918), Friquet di Gero Zambuto (1919), Un Cuore nel mondo di Amleto Palermi e Scrollina di Gero Zambuto (1920), I Figli di Nessuno di Ubaldo Maria Del Colle e Mia moglie si è fidanzata di Gero Zambuto (1921), Santarellina di Eugenio Perego (1923), La Fanciulla di Pom pei di Giulio Antamoro, Saitra la ribelle di Amleto Palermi e Vedi Napoli e poi muori! di Eugenio Perego (1924), Napoli è una Canzone di Eugenio Perego (1927), Napoli e niente più di Eugenio Perego (1928). Questo film commedia dalla trama esile sembra invocare il sonoro, già in vittoriosa avanzata. << Realizzazione ottima – scrive il recensore della torinese Rivista Cinematografica, mai troppo indulgente verso i film realizzati all'ombra del Vesuvio – Niente vicoletti, niente sudiciume: la Napoli di questo film è la Napoli moderna, quella che realmente si vede oggi, passeggiando per la città >>. Nei suoi film emerge la forza e la disperazione della rappresentazione delle passioni, nobilitate da una sceneggiatura molto curata e didascalie tratte da testi letterari non di rado scritti in dialetto napoletano con la traduzione italiana a fianco. La Gys interpreta ora figure di popolane capaci di affrontare con grande forza tutte le prove della vita, ora di giovani coinvolte in situazioni piccanti e spesso pronte a sfidare con piglio sfrontato la morale corrente e i tabù sessuali. Non sopravviverà alla ristrutturazione imposta al cinema dal sonoro. |
|
IL CINEMA DELLE STAR IN CARTOLINA - DAL CINEMA MUTO AGLI ANNI SESSANTA |
IL CINEMA DELLE STAR IN CARTOLINA DI PIERLUIGI CAPRA - DAL CINEMA MUTO AGLI ANNI SESSANTA
IL CINEMA DELLE STAR IN CARTOLINA DI PIERLUIGI CAPRA - DAL CINEMA MUTO AGLI ANNI SESSANTA
Casa Editrice: Graphot – Lungo Dora Colletta 113/12 - 10153 Torino
Prezzo: € 43
Formato: cm 22x32
312 pagine con circa 600 riproduzioni di cartoline d'epoca (parte in bianco/nero e parte a colori)
Copertina cartonata
Sopracopertina plastificata
Finito di stampare nel dicembre 2004
Prefazione di Stefano Della Casa di Torino
Questo libro prescinde dalle tante storie scritte sul cinema, ma si concentra sugli attori, sui divi, sulle divine, sui miti e sui personaggi che hanno immortalato sullo schermo, è un lavoro che sta dalla parte delle Star.
Gli americani ricorrono alla parola Star, neutra e bisex, anche per la similitudine che la parola evoca: come le stelle del cielo risplendono, nell'oscurità di una notte limpida, così quelle del cinema brillano nell'oscurità delle sale di proiezione dei locali cinematografici.
Si parla di quelle Star che hanno salvato brutti film, che ci hanno dato forti emozioni, che ci hanno fatto conoscere la bellezza e ricordare un film perchè c'era quel particolare interprete.
Quelle Star che col loro fascino personale, hanno contribuito a fare del cinema lo spettacolo per eccellenza, che hanno incarnato i simboli, i miti, le leggende e sono diventate immortali per i cinefili, quelle che ci mostrano di che sostanza son davvero fatti i sogni.
Le più originali, quelle di maggior spicco, con più forte personalità, che hanno caratterizzato un'epoca del cinema, quelle più carismatiche, le più premiate, le più rivoluzionarie, quelle che hanno saputo innovare il cinema, che hanno lasciato segnali indelebili nell'immaginario collettivo, quelle che hanno toccato le vette più alte dell'estetica cinematografica.
Star al di sopra del cinema e al di sopra del tempo, perchè la stella è una luce che brilla a lungo e in certi momenti ci fa sentire meno soli.
Le cartoline pubblicate, tutte d'epoca, dal cinema muto agli Anni '60, sono le ideali tessere di un mosaico, i fotogrammi del film intitolato: Il Cinema delle Star più grandi del mondo.
|
|
A
cura di Pierluigi Capra |
|