CRITICA a cura di Olga di Comite: Un’opera piccola ma non come il razzista arricchito che ne è al centro. Una questione complessa e triste, ma affrontata con spirito sdrammatizzante che, data la serietà oggettiva dell’argomento, avrebbe richiesto un po’ meno di faciloneria.
Neanche lo spunto favolistico e irreale è nuovo, poiché in un vecchio film di Sergio Arau (Un giorno senza messicani), ambientato in California, lo spunto era analogo in contesti e luoghi ovviamente diversi.
Ciò detto, voglio parlare di questo prodotto, non insignificante ma alla fine innocuo, come di una reazione provocatoria ai molti critici ufficiali pronti a stroncare tutto ciò che fa sorridere o ridere per esaltare filmoni gonfiati da frequentatori snob della Mostra del Cinema di Venezia (alludo, per esempio, a Ruggine, del quale sparlerò in altro intervento). Altro motivo, più banale, sotteso alla scelta è quello del bisogno di sorriso, visto che l’aria complessiva del pianeta mostra alla ribalta corruzione, recessione, povertà, sovrastanti quel poco di positivo che pure c’è. Direi infine che la mia simpatia non acritica è dovuta anche alla presenza di due attori, come Abatantuono e Mastandrea, certo diseguali nei risultati e non sempre efficaci, ma interpreti tra i meno volgari e avidi di apparire comunque.
La trama di Cose dell’altro mondo è semplice, come chiaro e leggibile è il messaggio. Cosa succederebbe nel nostro paese se d’incanto, dopo un metaforico temprale, sparissero gli extracomunitari? E’ quello che ogni giorno si augura, blaterando dalla tv locale luoghi comuni della peggiore Lega, un industrialotto veneto che se ne serve per mandare avanti la sua fabbrichetta, che ne ha due come camerieri in casa, che soddisfa il suo bisogno di sesso e compagnia con una dolce prostituta nigeriana.
Il film è ambientato in un paese del nord-est che si crede evoluto e benestante, mentre il razzismo serpeggia in varie forme, non solo negli imprenditori che si son fatti da sé. Non è indenne dall'indifferenza ottusa neanche un poliziotto locale, che ha affidato alla solita badante straniera la madre inferma di mente, che spesso vede e capisce più del figlio. Inoltre è insopportabile per lui che la ex-fidanzata lo abbia mollato per un aitante operaio di pelle nera. E la ex in questione si barcamena un po’ ambiguamente nel suo ruolo di maestra, anche se ha spessore diverso dagli uomini di cui sopra. Non parliamo poi dei politici e di quelli del bar, ipocritamente “migliori”, ma sguazzanti in acque ancora più basse. Accade così che ciascun componente del coro sgangherato è costretto a mettersi di fronte ai suoi errori.
Scomparsi gli extracomunitari, l’economia si ferma, i vecchietti sono senza assistenza, i bimbi rimpiangono i compagni stranieri, mentre la cittadina piomba nella tristezza e nella disorganizzazione. Certamente si poteva affondare di più la lama nella questione, descrivere meno macchiettisticamente il personaggio di Abatantuono, pretender qualche sfumatura dalla Lodovini, non abbandonare al suo malinconico garbo Mastandrea.
In una parola, nella forma un po’ piatta e nel contenuto superficiale, il regista poteva esprimersi con maggior presa e profondità. Date la vacche magre, per ora ci accontentiamo, ma solo per poco. Olga di Comite
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