CRITICA a cura di Gianni Merlin: Tutto sommato la vecchiaia non sta facendo proprio così bene al buon Cronenberg, già in parte deludente con il precedente “A dangerous method”, cristallizzato tentativo di ricostruzione del più famoso triangolo psicanalitico che si conosca, qui alle prese con un altro ambizioso progetto, quello di portare sullo schermo un libro di De Lillo, ”Cosmopolis” del 2006, storia del probabile ultimo giorno di vita di un giovane miliardario mago della finanza in giro a New York con la sua limousine bianca.
Al di là degli evidenti riflessi che una storia del genere ha con la situazione magmatica attuale, in cui appunto siamo alla mercè di centinaia di questi signori che muovono le pedine del mondo intero speculando nei mercati finanziari, se si vuole affrontare la questione di petto, bisogna dire che il problema di quest’opera è proprio il libro: la materia di cui sono fatti i romanzi di De Lillo appare di difficile trasposizione, ma mai come in Cosmopolis esiste una narrazione sequenziale che si presterebbe automaticamente ad una riflessione cinematografica e il regista canadese che fa? Riproduce pedissequamente al limite della copiatura i dialoghi, le affermazioni, il fraseggio del libro, permeando come una voce narrante il film di ciò che effettivamente è stato scritto da De Lillo.
Ai meno esperti, si ricorda che il linguaggio dell’autore italoamericano è un agglomerato della più alta letteratura del ventesimo secolo, un mantra immaginifico esistenzialista filosofico che lo fa emergere dalla massa dei contemporanei; Cronenberg proietta tutto ciò dentro lo schermo, scegliendo tra l’altro un’impostazione stilistica delle più gelide: per almeno due terzi del film siamo dentro nella limousine, con il buon Pattinson che fa i suoi incontri in questa specie di bara ambulante, impermeabilizzata dai rumori esterni, senza sottofondo musicale, con una New York assente, il tutto appunto impregnato di filosofia delilliana.
L’effetto di stordimento dura poco e cede il passo alla noia anche in chi avesse letto effettivamente il romanzo, figuriamoci in chi fosse interessato solo al film. In un analogo contesto come quello del “Pasto nudo”, Cronenberg era riuscito a tradurre un contorto testo letterario in un film di immagini potenti e visionarie che davano un volto efficace al libro, qui almeno fino alla metà si appiattisce sul testo, incapace di cogliere gli aspetti più cinematici della storia.
In effetti ad onor del vero, solo dal momento in cui Pattinson esce dalla limousine, le immagini prendono maggior respiro, danno un’idea plausibile del corpo del romanzo, è come se d’incanto a Cronenberg fosse semplicemente tornato il gusto di raccontarci le cose alla sua maniera, con quella capacità solo sua di filmare la calma apparente prima dell’orrore, di muoversi all’interno delle viscere della perdizione, fino a sfociare nel bel finale col duetto fra Pattinson e Giamatti, superlativi entrambi (menzione particolare per il giovane americano, che pur mantenendo un’espressione vampiresca che paradossalmente si presta al ruolo, si comporta come attore capace, dentro la parte in pieno possesso del protagonista anche solo con due tre facce), entrambi in modo inverso relitti della società, pronti al sacrificio per annullare una misera esistenza, fatta di vuoto milionario e di compiaciuta solitudine.
Come dire, pillole di grande cinema in un film di poche luci e molte ombre. Gianni Merlin
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