ANNO:
Germania 2002
GENERE:
Commedia
REGIA:
Wolfgang Becker
CAST:
Daniel Brühl, Katrin Sass, Maria Simon, Chulpan
Khamatova, Florian Lukas.
DURATA:
118 '
TRAMA:
Ottobre 1989: Christiane Kerner (Katrin Sass), attivista
politica
del partito socialista filosovietico, viene
colpita da un infarto e cade in coma pochi giorni prima
della caduta del Muro di Berlino. Risvegliatasi otto
mesi dopo, la donna rimane in pericolo di vita: qualsiasi
forte emozione potrebbe esserle fatale. Il figlio Alex
(Daniel Bruhl), per salvaguardare la salute del genitore,
decide che sua madre non può e non deve venire
a conoscenza degli eventi recenti, ossia che l'amata
patria socialista non esiste più. La vecchia
DDR continuerà così ad esistere in casa
di Christiane...
CRITICA a
cura di Chiara F.:
Il protagonista di Good Bye, Lenin! è un
ragazzo dalla faccia pulita e mobile, una scheggia
di una realtà traballante
e malandata che organizza un'imponente messa in scena,
complice dell'aiuto di un furbo collega cinefilo. La
Germania
Democratica, verità e illusione, è una
cella all'aria aperta che non concede nulla alle finte
trasgressioni, alla stucchevolezza di personaggi falsamente
incisivi, ma può accompagnare e dirigere una
straordinaria opera di fantasia e di amore, l'amore
che unisce un giovane discreto e riflessivo alla madre,
una pasionaria di cui Becker ci offre un ritratto surreale,
pittoresco e vivido insieme. Surreale ma credibile
quando ci si
sofferma sul rigore delle sue pratiche, del suo viso
imbalsamato in un quadro di perfezione irraggiungibile
dal quale affiora un sorriso dolce e mesto, sul suo
incedere solenne in un mondo trasformato, di confine,
che esplode nel disordine gioioso e deluso di una "controrivoluzione" rivelando
le sue voragini e i suoi piccoli tocchi di miseria.
Miseria tra i casermoni squadrati delle periferie di
Berlino, sugli
abiti smessi che la sorella maggiore del protagonista
non vuole più indossare, nell'entusiasmo bruscamente
ridimensionato per l'ascesa del capitalismo. Berlino
diventa un luogo estremamente affascinante, nella sua
ibrida natura ben rappresentata dai locali musicali
semidistrutti che circondano a effetto i sogni e gli
smarrimenti dei suoi figli, in cui un campo lungo ritrae
il ragazzo e la sua innamorata, una infermiera russa
pragmatica. Tra loro anche una bambina, la nipote della
protagonista, i cui primi passi spingono la donna ad
alzarsi dal letto e a intraprendere una passeggiata
sonnambula e un po' onirica tra quelle strade che le
sono proibite. Mentre gli occhi della donna convalescente,
gelidi e mansueti, si aggirano nel nuovo mondo, la
macchina prepara una sovraesposizione di piani
esatta in cui ci sembra quasi che la statua di Lenin,
il cui
busto sradicato viaggia appeso ad un elicottero a bassa
quota, tenda la mano nera e granitica alla sua esterrefatta
seguace. Non farà altro che seguire quella mano,
quella strada inesistente, quando il suo cuore debole
cederà al
peso di un passato sbagliato e ricostruito, all'intuizione
di quella messa in scena e alla sua inadeguatezza ad
una nuova apertura al mondo, un mondo vario in cui
i suoi figli si sono già addentrati. Chiara
F.
VOTO: |