ANNO:
U.S.A. / Germania / Gran Bretagna 2004
GENERE:
Drammatico
REGIA: Walter
Salles
CAST:
Gael García Bernal, Rodrigo
De la Serna, Mía Maestro, Mercedes Moran,
Jean-Pierre Noher, Susana Lanteri.
DURATA:
126 '
TRAMA:
Basato sui diari di Alberto Granado e dell'uomo
che sarebbe diventato "El Che" - Nel 1952
due giovani argentini, Ernesto Guevara (Gael
Garcia Bernal) e Alberto Granado (Rodrigo
De La Serna),
si misero in viaggio per scoprire la vera America
Latina. Ernesto, 23 anni, era uno studente in medicina
specializzando in leprologia, e Alberto, 29 anni,
un biochimico. Il film segue i due giovani alla scoperta
della complessa e ricca topografia umana del continente
latinoamericano. Con un senso dell'avventura molto
romantico, i due amici lasciano la loro città natale,
Buenos Aires, in sella ad una sgangherata Norton
500 del 1939. Sebbene la moto si rompa nel corso
del loro viaggio di otto mesi, loro proseguono facendo
l'autostop lungo la strada. Attraverso le persone
incontrate in viaggio i due cominciano a intuire
un continente diverso dal previsto, mentre la geografia
dei luoghi riflette sempre più il progressivo
cambiamento delle prospettive. Giungono sulle alture
di Machu Picchu, dove le maestose rovine e il significato
straordinario dell'eredità degli Inca hanno
un profondo impatto sui due giovani. In una colonia
di lebbrosi ai bordi del Rio delle Amazzoni peruviano,
i due prendono a interrogarsi sul valore del progresso
determinato dai sistemi economici, così spietati
nel lasciare indietro tante persone. Le esperienze
nella colonia risvegliano dentro di loro il germe
degli uomini che diventeranno più tardi, definendo
il percorso etico e politico che intraprenderanno
nella vita. Un viaggio interiore alla scoperta di
sé traccia le origini di un cuore
rivoluzionario...
CRITICA a
cura di Olga
di Comite:
A distanza di solo una settimana l'uno
dall'altro, due film che sono un road
movie, e se si guarda all'indietro
nella letteratura e nel cinema, il
tema non ha mai smesso di affascinare.
Il viaggio in generale, dall'Odissea
di Omero e dal Milione di Marco Polo,
ha avuto ed ha un valore iniziatico
o d'esperienza, che non muta nei secoli
e alle latitudini più diverse.
Se si fa riferimento al cinema, il
primo titolo che viene in mente è "Easy
Rider" di Hopper,
in cui il tema si mescola a quello
della cultura alternativa
anni '60 e il riferimento letterario
a Kerouak è d'obbligo.
Ma possiamo anche pensare al Wenders di "Paris-Texas" o
a "Thelma e Louise" di Ridley
Scott per un on the road al
femminile. Queste opere hanno in comune
il fatto
di suggerire un percorso che, oltre
ai luoghi geografici, esplora luoghi
dell'anima e costringe i protagonisti
a guardarsi dentro e conoscersi a fondo.
Il viaggio diviene momento di snodo
per il cambiamento, una crescita di
idee, un inizio per scelte di vita
prima confuse o impensate. In altri
casi esso prende la forma di un'anticamera
della morte, come nel già citato "Thelma
e Louise" o in "Monsieur
Ibrahim e i fiori del Corano" (vedi
esperienza finale del vecchio arabo
e del bimbo israeliano). Nel film di
Walter Salles (quello
di "Central
do Brasil") il valore
psicologico del distacco dalla quotidianità,
il taglio del cordone ombelicale con
la famiglia, l'esplorazione della propria
coscienza riguarda nientemeno che Ernesto
Che Guevara e il suo fraterno
amico
Alberto Granado, oggi
splendido ottantaduenne. L'opera, con
la supervisione artistica
di Gianni Minà,
che dei Diari
di Guevara possiede i diritti, è liberamente
ispirata ad essi. Ma la realizzazione
di Salles, interpretata
da un argentino (Gael Garcia
Bernal) e un messicano
(Rodrigo De La Serna),
prodotto da un americano (Redford)
e fortemente voluta da un italiano
(Minà) è anche
diretta testimonianza di come il personaggio
abbia ammiratori in ogni parte del
mondo. A parte ciò, il film
mi è parso utile e necessario
per due motivi: 1) integrare con una
dose di umanità e generosità giovanile,
nella mente di chi ha la mia età,
diciamo tra i cinquanta e i sessanta,
l'immagine statica e ideologica del Che guerrigliero;
2) inverare con qualcosa di più l'icona
da maglietta e gadget, per il resto
poco nota, che
del Che hanno i giovanissimi
d'oggi. E' un giovane di ventitrè anni
quello che il film presenta insieme
all'amico ventinovenne, entrambi colti
in una situazione psicologica prepolitica,
entrambi aperti e sensibili: con più slanci,
una punta di pensosità e coerenza
etica e un pizzico di spirito francescano
(vedasi soggiorno nell'isola dei lebbrosi) Ernesto Guevara; più superficiale,
spaccone, simpatico l'altro. In entrambi
sonnecchia però il bisogno di
scelte di vita che il viaggio di otto
mesi attraverso gran parte dell'America
latina fa precipitare. Gli incontri
con il popolo sudamericano, sentito
come intrinsecamente omogeneo per cultura
e destino (tanto da far auspicare al Che la nascita di
un unico grande stato latino-americano)
fanno maturare spostamenti
interiori prima timidi, poi sempre
più espliciti, fino ad arrivare
alla scena fondamentale dell'attraversamento
a nuoto del fiume compiuto da Ernesto per
congedarsi dai suoi amici lebbrosi.
Il valore simbolico del viaggio trova
in quel gesto istintivo e cocciuto
il suo punto più alto. Prima
di ripartire, Guevara vuole
salutare i più dimenticati,
isolati sull'altra sponda del fiume
e l'episodio, pur
iscrivendosi ancora nella pura moralità,
contiene una sottile, discretissima
prefigurazione di quello che diventerà il
rivoluzionario. Non tutto nell'opera è allo
stesso livello. All'inizio ci sono
alcune forzature poco credibili nella
narrazione, la fotografia è bella
ma non originalissima, l'interpretazione
di Gael Garcia Bernal (Ernesto) è di
qualità ma non eccezionale,
poco rilievo ha la descrizione di un
capitalismo agrario e industriale appena
intravisto nella realtà dei
paesi attraversati. Eppure, per i motivi
che dicevo prima, l'adesione del pubblico
c'è e la sala è piena.
Forse ciascuno di noi ha bisogno di
rituffarsi nel proprio vissuto (i più vecchi)
o di imparare a progettare viaggi che
aprano un modo diverso di vivere e
di porsi nella vita (i più giovani). Olga
di Comite
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