CRITICA a cura di Olga di Comite: Una fotografia e un clima alla Jacques Tati in versione colore, un pizzico di humour francese, una classe di bambini tipo Libro Cuore riveduto e corretto agli anni 50’, siparietti di cartone per titoli di testa firmati Sempe, una proiezione al mattino (una volta si diceva un matinèe) ed il gioco è fatto. Questa la presentazione de Il piccolo Nicolas e i suoi genitori che ha come antecedente prima una serie di fortunati racconti e poi un libro di Goscinny, noto autore francese per bambini, che si è avvalso di un disegnatore del calibro di Sempe.
Protagonista del film è il piccolo Nicolas che racconta il mondo visto attraverso la sua esperienza e la sua sensibilità. In esso ovviamente sono personaggi di primo piano i genitori ed i compagni di classe più una miriade di ritrattini minori che ricordano in qualcosa “Il favoloso mondo di Amelie”.
Lo sfondo del racconto, come accennato prima, è una Francia anni 50’, sorpresa in immagini che sembrano irreali, in cui luoghi e atmosfera rimandano a tempi più semplici, con rapporti fluidi, senza grosse asperità e a una bonomia andata perduta o immaginata dal filtro dei ricordi. Niente rumori di guerre sullo sfondo, niente violenza: i giorni scorrono lisci, riconoscibili come le stagioni.
Nicolas vive un momento dell’esistenza equilibrato nelle gioie e negli affetti. Ha una famiglia solida, non gli manca nulla, i compagni e la scuola sono classicamente caratterizzati: c’è lo sgobbone antipatico, lo svampito, il figlio di ricchi, il ciccione ecc. ecc. Lui è nella media, il ragazzino vispo ed intelligente che “potrebbe fare di più” come rendimento scolastico.
Un giorno però, già messo sull’avviso dall’esperienza di un suo amichetto, crede di capire da mezze frasi e strani comportamenti dei suoi, che è in arrivo un fratellino cioè un rivale che gli ruberà spazi ed affetti. Tutto congiura a far sentire il piccolo come una specie di Pollicino che sarà abbandonato nel bosco.
Parte così una serie di bravate, che egli orchestra con i compagni più intimi, volte ad impedire "l’orribile evento". Il tutto con un andamento di commedia che spesso tocca anche gli adulti impegnati a risolvere i propri problemi con una goffaggine ed ingenuità pari a quella dei loro figli.
A questo riguardo il cast è piacevolissimo e specialmente Kad Merad nel ruolo del padre che risfodera la vena buffa e tenera di “Giù al Nord”. Ma efficaci risultano anche i bambini-attori che si muovono con naturalezza e spontaneità. Il ritmo del racconto non sempre convince per momenti di lentezza ripetitiva, ma la maggior parte delle scene si avvalgono della grazia dei più piccoli e del divertimento fatto di fantasia e piccole cose che fa ridiventare bambini i più grandi. Non a caso in sala piccini ed adulti erano quasi pari. Olga di Comite
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