CRITICA a cura di Olga di Comite: Preceduto da qualche pettegolezzo circa il rifiuto della scrittrice Muriel Barbery di riconoscere ne Il Riccio della Achache una creatura nata dal suo libro, ecco in sala questo film colto e un po’ cerebrale. Tra cinepanettoni, annunci di tromba su "Avatar", amarcord in tutte le salse, esso si colloca, proprio come il personaggio principale del racconto, con discrezione, in punta di piedi, senza effetti speciali ma con un nitore semplice e un richiamo alla nostra intelligenza e affettività.
Da lettrice non molto convinta del libro, non avevo apprezzato di esso la sentenziosità didattica e l’eccesso di citazioni da buon condominio alto-borghese (per restare nel tema). Mi erano piaciuti però i personaggi principali e in particolare la portiera Renée che l’autrice fa crescere e scoprire a poco a poco in modo che il lettore capisca tramite tanti piccoli segnali, a volte pieni di humour, la sua vera natura. Renée è infatti una creatura emarginata che non ama se stessa ma è ricca di cultura, riflessione ed affetto da donare.
Del film, che è stato a priori un po’ snobbato perché solitamente un romanzo che ha successo genera un prodotto cinematografico brutto, mi è invece piaciuta la semplificazione dei personaggi (non perfettamente riuscita nella portiera per la quale avrei speso più pennellate). Colpisce anche la cura dei particolari raffinati e mai volgari (vedi i piccoli disegni a pennarello di Paloma), nonché la malinconia e la dolcezza dei dialoghi essenziali che hanno preso il posto di certa supponente verbosità del romanzo.
Quello che invece non viene fuori è il microcosmo del condominio, ridotto alla sola famiglia della ragazzina: madre che coccola le piante e ignora quasi le figlie, sorella maggiore odiosa come da manuale, padre lontano inutilmente severo. E’ vero che essa è abbastanza emblematica, ma qualche altra raffigurazione di quel mondo da portierato e androne liberty, non avrebbe stonato. Riuscito invece il tentativo di restituire con ritmo lento i particolari che si addicono più alla narrazione letteraria che non ha limiti di tempo.
Ma il senso ultimo del discorso arriva efficacemente allo spettatore: le apparenze tradiscono e spesso chi possiede tesori di affettività e sa guardare a fondo nel prossimo, rischia di trovarsi emarginato perché nessuno, preso dalla vacuità del suo privato, ha occhi per queste creature che sembrano minori e non lo sono.
E’ il caso di Renée ma anche di Kakuro, il ricco signore giapponese che va a occupare l’attico del palazzo e comprende subito i “segreti” della custode.
Alla fine Paloma, che progetta il suicidio allo scoccare dei tredici anni, smette di accarezzare la sua acerba decisione, messa com’è di fronte alla morte vera che fa male e non è come lei l’immagina. C’è un’ultima cosa che vorrei dire su quest’opera curata e particolare nell’attuale panorama: non c’è nel film una sola scena di sesso eppure si parla di amore, affidando però il messaggio a una gestualità intensa e discreta, d’altri tempi, un gioiello di eleganza a fronte di troppe esibizioni inutili. Olga di Comite
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