CRITICA a cura di Olga di Comite: Con una puntualità da orologio svizzero ecco arrivare il film annuale di Woody Allen e, come a una madre molto prolifica, non tutti i figli vengono bellissimi.
Ma, se si mette insieme un buon DNA, la prole è decisamente superiore alla media. Tutto questo per dire che l’ultimo film del regista non è tra i suoi migliori ma ha certo dei pregi e un sapore di buon invecchiamento tipico di alcuni vini di qualità, pur non essendo il Brunello di Montalcino.
Dopo la prima mezz’ora, che gira a vuoto e un po’ noiosamente, il teatrino prende anima, corpo e movimento. I fatti si intrecciano e in qualche modo il gruppo dei personaggi entra in relazione. E se non c’è proprio un legame diretto tra loro, hanno in comune la ricerca di un amore, che sia quello giusto, e l’oscura insidia della solitudine che sonnecchia al fondo dell’esistenza di tutti, condizione conclamata quanto più si avanza con gli anni.
Questa volta Woody non è protagonista, ma l’amarezza degli ultimi film, londinesi e non, è presente e farà storcere il naso a chi non lo ama e pensa a una produzione ripetitiva. Io invece ritengo che ogni autore proceda con diverse modalità: alcuni sviluppano temi esplorando ambienti sociali a loro vicini e approfondendo via via il discorso (Allen appunto); altri amano fare incursioni in campi e tematiche diversi (Visconti ad esempio o Bertolucci). Quello che importa però è che il film riesca a comunicare emozioni e riflessioni e parli nel suo linguaggio al meglio.
A proposito di linguaggio: la scorrevolezza della direzione, la bravura nel ricavare il meglio dagli attori (eccettuato Josh Brolin che sta nel ruolo come un pugile suonato), la fotografia luminosa e chiara di quartieri e angolini della Londra più dolce, le musiche che suggeriscono la tenerezza dei sentimenti che si vorrebbe durassero per sempre, tutto questo è inconfondibile.
Nel gruppo dei personaggi si salvano alla fine più sballati, illusi e fantasiosi. Tale è una anziana signora, Helena, abbandonata da un coniuge coetaneo, irretita da una veggente che le predice come prossimo un nuovo incontro amoroso e dalla quale la vecchia signora si fa guidare quasi ogni giorno, con l’aggiunta magari di un bicchierino, finché il nuovo amore non arriva. Questo non sarà l’uomo dei sogni ma un rotondo signore, fresco vedovo, assiduo nelle sedute spiritiche che attende dall’aldilà il permesso della moglie per essere ancora felice.
Così i due personaggi, che sembrano usciti da "Alice nel paese delle meraviglie", durano nella loro illusione, giacché l’amore rimane finché si riesce a illudersi che così sia. Toccherà a loro, seduti su una panchina nel verde del parco, l’ultima zoomata del regista.
Gli altri personaggi sono più cinici (tra questi la palma va a una affascinante Sally, figlia di Helena), più sprovveduti (l’anziano divorziato Alfie che sposa una prostituta pronta a tradirlo e a sfruttarlo), più sfortunati (Roy scrittore fallito, coniuge di Sally, mantenuto dalla moglie, che non riuscirà a portare a termine il colpo grosso della sua vita). Tutti comunque darebbero qualsiasi cosa pur di avere un nuovo inizio, una seconda esistenza.
Ciò toccherà solo agli illusi, a quelli che sanno mentire a se stessi con leggerezza, perché, come Allen dice in apertura citando da Shakespeare: "La vita è una favola narrata da uno sciocco, piena di strepiti e di furore ma senza significato". Olga di Comite
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