CRITICA a cura di Gabriela Saraullo:
Ora sta' attento a quello che dici o ti chiameranno
radicale, liberale, fanatico, criminale.
Potresti scrivere il tuo nome? ci piacerebbe sapere se sei accettabile, rispettabile, presentabile, un vegetale!
Di notte, quando tutto il mondo è addormentato le domande corrono in profondità
per un uomo così semplice.
Vi dispiacerebbe, per favore, dirmi cosa abbiamo imparato?
So che può sembrare assurdo, ma per favore ditemi chi sono
The Logical Song
Un giovane decide di cambiare vita e realizzare un viaggio verso l'Alaska e, ispirandosi al nome di un vecchio gruppo musicale, si pone la domanda più importante: chi sono?
Sean Penn è forse nato per raccontare questa storia, come se tutto il suo impegno fosse stato depositato in Alaska e nell’elaborazione di questo film; difatti ci porta nel cuore delle terre selvagge. La sua intenzione è quella di voler sempre realizzare pellicole estremamente intimistiche dove riusciamo a percepire la sua ossessione nei confronti delle relazioni umane. “Into the Wild” è ispirato al libro di Jon Krakauer pubblicato nel 1996, che racconta la vita, i sogni ed i pensieri di Chris McCandless; un giovane di 23 anni che dopo la laurea decide di lasciare tutto, incluso la famiglia, per attraversare l’America fino ad arrivare in Alaska.
Attraverso l’avventura ed il piacere del viaggio, il regista ci pone davanti a importanti riflessioni sull’essere umano e sulla ricerca di tante risposte. Christopher - Alex intraprende un processo per incontrare se stesso attraverso l’esplorazione dell’america ma al tempo stesso compiendo un viaggio interiore, il più importante della sua vita. Il protagonista realizza un pellegrinaggio spirituale rappresentato da diverse tappe: l’iniziazione, la maturità e la saggezza.
Penn riesce a trasformare 150 minuti di lungometraggio in un insieme di spontaneità, semplicità ed ha la capacità di stimolare i sensi di ognuno di noi; utilizza una struttura narrativa fatta di flash back e colloca Chris nel suo destino finale, Alaska, e man mano va alternando le diverse tappe del viaggio. Il passato, il presente ed il futuro del protagonista si uniscono come pezzi di un puzzle per spiegare qualcosa di così “illogico” come la voglia di lasciare una vita agiata e privilegiata per vivere alla giornata.
Emile Hirsch riesce in modo eccezionale ad interpretare Chris McCandless, ma è stato “volutamente” messo in disparte nella nomination agli Oscar. Troviamo anche il bravissimo Hal Holbrook, che appare sullo schermo per una quindicina di minuti ma trasmette tenerezza ed emozione.
La magnifica fotografia è sicuramente un aspetto intenso del film, i paesaggi fanno parte integrante della storia e sono imprescindibili: le caotiche città, le bellissime spiagge, i grandi laghi, gli interminabili boschi, gli infiniti cieli azzurri e le montagne con addosso l’inverno più bianco dell’Alaska. Altro punto forte del film, come ogni road movie che si rispetti, è la colonna sonora di Eddie Vedder, (orfano dei Pearl Jam), la sua voce calda ci colloca proprio al fianco del protagonista, ci fa vivere le emozioni attraverso le sue canzoni e ci accompagna in questo viaggio verso la natura più selvaggia.
Un film intenso dove il protagonista Chris scappa dalla vita che non ha mai desiderato, si lascia tutto alle spalle e fugge dai legami per vivere la vita desiderata, per superare i limiti, per inseguire un sogno, per trovare una risposta a tutte le domande, per chiudere porte ed aprirne altre. Il suo viaggio verso la solitudine per trovare la verità assoluta lo conduce, però, a conoscere una verità che non immagina, una serie di ritagli della propria vita dove non bisogna per forza lottare contro i sentimenti, e come dice il protagonista, parafrasando Tolstoy, "la felicità è reale solo se condivisa". Gabriela Saraullo
VOTO:
CRITICA a cura di Olga di Comite: Non capita spesso di vedere un film fatto con l’amore e l’adesione che Sean Penn ha messo nella sua ultima opera e che riesce a trasmettere allo spettatore. Direi che questo è l’aspetto più commovente dell’opera, non sempre riuscita a mio parere e, se vogliamo, anche un po’ vecchiotta nei temi e poco condivisibile per altri aspetti. Ma il racconto è certamente suggestivo e il regista ha saputo, con un montaggio articolato nel tempo, variando la voce narrante, servendosi della bella colonna sonora di Eddie Veder, interpretando il paesaggio americano come parte integrante del tutto, dare una ennesima prova del suo talento indipendente e attento ai valori poetici.
Dai racconti, tetri, urbani e grigi dei film precedenti e dalla disperazione, si passa a un lungo viaggio con una fotografia che qua e là sfiora l’inquadratura da spot pubblicitario, ma che mostra anche gli States delle grandi piantagioni di mais o gli aperti, incontaminati altipiani nevosi dell’Alaska. Insieme alla Natura, sfilano tutti i leit-motiv della cultura americana: il conflitto familiare, lo spirito di frontiera, il gusto della sfida dell’homo faber, il viaggio, la ricerca di assoluti, la critica a una società basata solo sull’avere e poco sull’essere.
Ci si aspettava però da un autore come Sean Penn un qualche approfondimento, qualche scatto di fantasia nella presentazione dei personaggi, qualcosa di più consistente sul piano dell’analisi psicologica che non fosse questo giovane a mezza strada tra un umanesimo tolstoiano, la mistica di un San Francesco o di un convinto cattocomunista in tempi più recenti. Forse l’esistenza reale del personaggio, Christopher Mc Candless, nonché il filtro della sua vicenda attraverso il romanzo di Jon Krakauer (Nelle terre estreme), sono stati più di ostacolo che di stimolo all’invenzione cinematografica.
La vicenda si situa negli anni ’90. Un giovane di 24 anni, di famiglia abbiente, di buone letture, fresco di una laurea brillante, idealista forse più di quanto non lo siano molti giovani, sensibile forse un po’ troppo, si spoglia di tutto ciò che non è strettamente necessario.
Colpito dal fatto che i suoi gli hanno mentito, nascondendogli di non essersi mai sposati (reazione tipicamente USA, vista la gravità con cui lì si valuta la pubblica menzogna), Christopher scompare per i suoi, rifiutando in blocco la famiglia e il suo tipo di esistenza.
Inizia così un coinvolgente on the road con alcune pause di lavoro per fare un po’ di soldi e sopravvivere, un’autentica rinascita, poiché il giovane cambierà anche nome. Girando il suo paese da costa a costa, si misura con la realtà naturale, fa incontri umani arricchenti ma un po’ scontati (vedi gli hippy attardati, l’esile e tenera fanciulla che si innamora di lui, il vecchio rimasto solo che vagheggia un nipote, ecc.). Finisce infine per vivere in un pullman rugginoso abbandonato nei silenzi e nel gelo dell’Alaska, ingegnandosi per diventare un autentico cacciatore-raccoglitore. Un finale imprevisto arriva proprio quando ha maturato comprensione e perdono per quanto si è lasciato alle spalle, poiché si è reso conto che la felicità è reale solo se viene condivisa.
Ottima la prova di Emile Hirsch nel ruolo del protagonista; giusti i comprimari e in particolare Ron (Hal Holbrook), candidato Oscar come attore non protagonista. Un film da vedere senz’altro, ma con occhio critico e senza facili trionfalismi. Olga di Comite