CRITICA a cura di Olga di Comite: Lo spunto è scabroso, il genere è quello della commedia ma non troppo, perché la tristezza o perlomeno un appannamento malinconico sono sottesi al racconto.
Gli attori sono convincenti, il luogo una Londra che, come tutte le città grandi o meno grandi, è divisa in due. Da una parte c’è la metropoli e il suo centro confusionario, dinamico, percorso da mille razze e varie attività, dall’altra il quartiere decentrato, fatto di casette per gente ordinaria, lavoratori che, come ovunque, spesso faticano ad andare avanti. Si tratta, per intenderci, degli eroi di ogni giorno di Ken Loach, che non sono più classe ma folla di gente comune.
Il vero scandalo del film è che anche nel paese occidentale di più antica e salda democrazia il curarsi per evitare la morte a causa di terribili mali è consentito solo a pochi ricchi. La protagonista del film è una nonna, modesta pensionata, che al momento del bisogno (l’unico nipotino rischia la vita se non sarà ricoverato in una clinica australiana), scopre che lei e i genitori del piccolo non sono altro che dei poveracci qualsiasi. Le banche non fanno prestiti a chi soldi o garanzie non ha; se non sei più che giovane e qualificato anche il lavoro scompare dal mercato. E allora? La stralunata casalinga inglese, tutta perbenismo e tè al sabato con le amiche vedove del quartiere, non esiterà di fronte a nulla pur di tutelare la salute del bambino, tirando fuori una grinta insospettabile nel personaggio delle prime sequenze.
Inevitabile a questo punto il raffronto tra la vita vera di Marianne Faithfull, icona del anni ’60, tutta sesso e trasgressione, ma anche voce personalissima dei Rolling Stones, e quella del suo personaggio. La nostra Maggie infatti non si rassegna ed esce nel modo più clamoroso ma non volgare dalle sue vesti dimesse per trasformarsi in una pornostar. Nome di battaglia Irina Palm, attività: masturbatrice di uomini alla ricerca di emozioni in quel di Soho, presso un locale gestito da un slavo sornione ma non triviale che sfrutta il suo inopinato talento. Poi la metterà anche a fuoco nella sua dimensione di cinquantenne, pur sempre una donna, battagliera ed auto ironica con quell’andatura un po’ a papera pettoruta, con le mani morbide adatte al “mestiere”, che non rinuncia a rendere più personale la cameretta in cui lavora, decorandola con quadretti agresti e tovagliette di casa. Solo un buco attraverso il quale compie le sue mansioni mette in comunicazione le donna e i clienti, mentre il gestore, vedendo via via la fila che cresce davanti alla sua porta, è disposto anche ad anticiparle il denaro che le serve.
Maggie - Irina vince la sua battaglia, ma la favola ha un drammatico risvolto quando il figlio scopre a che prezzo la donna ha trovato il denaro. S’innescano allora dinamiche varie su cui il film sorvola senza approfondirle, scegliendo un versante comico a volte un po’ facile (vedi personaggi - macchietta del negozietto del quartiere dove Maggie fa i suoi acquisti o il pezzo della rivelazione alle sue ex-amiche, magistrale nella interpretazione ma ovvio nei contenuti).
Un fatto comunque va sottolineato: quest’opera garbata, con un’ottima fotografia fatta di toni spenti tra marroni grigi ed ocra, come le case dei sobborghi, con un buon commento sonoro dei Ghinzu, non scivola mai nella volgarità gratuita, pur avendo al centro uno spunto che poteva facilmente essere usato in tal senso. E non è l’attività di Irina che rimane negli occhi, ma il suo incedere dimesso e dignitoso con il viso segnato ma non convenzionale. Olga di Comite
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