CRITICA a cura di Gabriela Saraullo:
"E' più facile modificare la composizione del plutonio che le cattive inclinazioni dell'individuo. A spaventarci non è la potenza d'esplosione di una bomba atomica, ma la potenza della malvagità del cuore umano."
Albert Einstein
Robert Redford con “Leone per Agnelli” prende posizione contro il governo Bush e attacca sia la guerra che i mezzi di comunicazione e si oppone chiaramente alle azioni e alle strategie militari. Vediamo un’America post 11 settembre, dove le persone vivono costantemente in uno stato di sconforto e afflizione; sentimento comune sia per i repubblicani che per i democratici. Nessuno è immune da questa perdita di orientamento: né le persone, né il governo, né i mezzi di comunicazione.
Un film dove la guerra viene presentata attraverso diversi punti di vista e dove è presente sempre una diatriba: se il conflitto sia un bene o un male, se il denaro investito sia eccessivo oppure no, se i politici del paese siano interessati o meno alla pace in America. Le tre storie raccontate hanno una origine e un obiettivo comune: non si incrociano mai ma ognuna di loro è un punto chiave nello svolgimento degli eventi.
Washington: Janine Roth (Meryl Streep), una veterana giornalista intervista Jasper Irving (Tom Cruise), un senatore che vuole indurre la reporter moralista ad aiutarlo a convincere l’opinione pubblica sull’efficacia di un'azione militare degli Stati Uniti in Afghanistan così da ottenere un maggior numero di consensi.
California: il professore Stephen Malley (Robert Redford) cerca di trasmettere degli ideali ai suoi studenti, che sono si brillanti ma allo stesso apatici sulla questione della guerra; vuole farli riflettere sulla necessità di far parte attiva poiché rappresentano la futura generazione.
Afghanistan: sotto il fuoco nemico talebano, due vecchi studenti di Malley, Brian (Derek Luke) ed Ernest (Michael Peña), dimostrano il coraggio di mettere in pratica alcune loro convinzioni.
Mescolando le diverse storie la trama trova un comune denominatore: quello del conflitto in Afghanistan, delle conseguenze della guerra e dei tanti soldati che ogni giorno si arruolano volontariamente con l’illusione di dare un senso alla propria vita. Le intenzioni dei protagonisti forse non sono negative, ma le conseguenze sono tragiche. Il regista pone l’accento sulle complicate relazioni politiche e sociali tra cittadini del primo mondo e dei paesi sottosviluppati: cittadini che pur vivendo in parti del mondo molto diverse sono collegati fra di loro.
Un lungometraggio senza effetti speciali che punta di più sugli effetti etici e sulla critica che sulla politica antiterroristica adottata dal presidente Bush negli ultimi sei anni di conflitto; e che, al contempo, pone l’accento sull’assenza di posizione dimostrata da parte di alcuni giovani americani. La guerra è più raccontata che vissuta ma il film non convince completamente: rimane qualcosa di superficiale e pecca con i soliti luoghi comuni del patriottismo e del coraggio americano, sfociando nel retorico e nell’eccessivo moralismo dove i valori, la fede, l’integrità e la libertà appaiono come le uniche verità che dobbiamo custodire e difendere.
“Leone per agnelli” attacca la passività e l’indifferenza delle persone ma, nonostante le magnifiche interpretazioni dei tre protagonisti, la trama si ingarbuglia, le storie si mischiano, i dialoghi rischiano di diventare monotoni a causa della minuziosa analisi basata soprattutto in tre grandi piani sequenza con situazioni di routine e mai straordinarie: due soldati paralizzati e incerti, una intervista e un colloquio tra un professore ed uno studente. Sebbene la guerra, con i suoi mostri e le sue vittime, sia descritta in rari momenti durante il film, la sua ombra è presente dall’inizio alla fine e coinvolge anche le società più lontane, quelle che non riescono a percepire l’esplosione delle bombe.
Certamente “Leone per agnelli” non passerà alla storia come la migliore opera del cinema sulla guerra e sulla sua drammaticità, ma sicuramente rappresenta un tentativo apprezzabile per offrire una visione più aperta relativamente ad un tema così sensibile, soprattutto negli Stati Uniti d’America; e questo non è poco.
Quello di Redford sembra più un progetto politico da 35 milioni di dollari, un reportage del partito democratico americano più caro della storia, ma con un cast eccezionale e la scelta di attori così importanti per i ruoli principali fa presupporre che è un prodotto con un chiaro ed unico obiettivo: gli Oscar. Non sorprenderebbe che questo film si porti a casa qualche nomination e/o qualche statuetta per ribadire l’esito del progetto del regista.
Ma chi sono i leoni e chi sono gli agnelli?
Questa frase è una metafora impiegata per descrivere provocatoriamente il concetto di eroici soldati agli ordini di comandanti inetti e di non temere mai un esercito di leoni condotti da un agnello, al contrario è da temere un esercito di agnelli condotto da un leone.
Nel film non viene mai additato il colpevole, viene fatto il ritratto di un’intera società responsabile, inconsapevole o cosciente, come coloro che la manovrano; dal momento che l’indifferenza, l’apatia e l’indolenza ci rendono, il più delle volte complici di tutto ciò per cui ci lamentiamo, senza mai far nulla in proposito. Gabriela Saraullo
VOTO: