ANNO:
U.S.A. 2003
GENERE:
Commedia
REGIA: Mike
Newell
CAST: Julia
Roberts, Kirsten Dunst, Julia
Stiles, Maggie Gyllenhaal, Marcia
Gay Harden, Ginnifer Goodwin, Juliet
Stevenson,
Dominic West, Laura Allen, Topher Grace,
Terence
Rigby, Donna Mitchell,
Marian Seldes, Ebon Moss-Bachrach, Jordan Bridges,
John Slattery, Taylor Roberts, Tori Amos, Krysten
Ritter.
DURATA:
125 '
TRAMA: Katherine
Watson (Julia Roberts) è un'insegnate
di storia dell'arte idealista e testarda che nell'autunno
del 1953 si trasferisce dalla California al campus
di Wellesley, nel New England,
con l'incarico di educare le più ricche e
brillanti giovani donne americane. Katherine sfida
coraggiosamente l'establishment universitario dell'America
degli
anni '50 mettendo sottosopra l'atmosfera ottusa
e repressiva del college e
proponendo alle sue giovani e sensibili studentesse,
tra cui la diplomanda Joan Brandwyn (Julia
Stiles), l’iconoclasta
Giselle Levy (Maggie Gyllenhaal), la timida Connie
Baker (Ginnifer Goodwin) e la conservatrice Betty
Warren (Kirsten Dunst), la concreta possibilità di
un futuro più luminoso e positivo...
CRITICA a
cura di Olga
di Comite:
L'ultimo
film del versatile Mike Newell ("Quattro
matrimoni e un funerale", "Ballando con
uno sconosciuto") si inserisce nel filone
di storie su docenti appassionati che
danno sopratutto lezioni esistenziali.
Viene spontaneo il parallelo con "L'attimo
fuggente" di Peter Weir e
dico subito che preferisco quest'ultimo,
in quanto
molto più convincente, anche se
meno brillante in superficie. Citerei
poi l'altro del genere, anch'esso made
in USA ('95), intitolato "Pensieri
pericolosi". Lì c'era come
protagonista Michèlle
Pfeiffer,
calata nel ruolo e alle prese con una
classe difficile
e multietnica di una qualche periferia
urbana. Con Mona Lisa Smile siamo
nel college di Wellesley, uno dei più prestigiosi
d'America, per ricche figlie della classe
dirigente. Il periodo è quello
degli Anni '50, denso di pulsioni e problemi:
guerra fredda, difficile integrazione
razziale, maccartismo. Sono questi i
nodi con cui si misurava una società giovane
e in espansione di consumi, ma spesso
legata al conservatorismo più bieco
e formalista. Il bel college è il
luogo privilegiato dove le signorine
di buona famiglia imparano soprattutto
l'arte del ricevere, un sapere preconfezionato
in testi quasi sacri, l'arte di conquistare
un buon marito cui dedicarsi anima e
corpo per crescere i futuri figli, secondo
un perbenismo mai messo in discussione.
In questa realtà cala la giovane Katherine Watson (Julia
Roberts), di
origini modeste, con un'apertura mentale
da protofemminista nonché da insegnante
disponibile alla ricerca critica e al
confronto. Ella rischia perciò di
mettere in crisi il microcosmo consolidato
in cui ruotano le sue giovani allieve.
L'attenzione del regista si ferma soprattutto
su tre di esse: quella più diligente,
quella più ferocemente ostile
al nuovo, quella più ribelle,
che cerca un nuovo ruolo attraverso una
certa spregiudicatezza sessuale. Ad interpretare
questi personaggi l'autore ha chiamato
tre giovani attrici già collaudate,
bruttine anche perché avvilite
dalla moda anni '50 in versione nastri,
pizzi e colori pastello, ma sufficientemente
brave. Si tratta di Julia Stiles ("Save
the last dance"), Kirsten
Dunst ("Spiderman"), Maggie Gyllenhaal ("Secretary").
Ci sono poi gli insegnanti del campus,
tutti
più o meno ipocriti, con qualche
scheletro nell'armadio; tra di essi una
soltanto paga col licenziamento una impossibile
autonomia di vedute. La nostra Katherine però non demorde e poco alla volta
riesce a conquistare prima la stima,
poi l'affetto delle leaders della classe,
crescendo anche lei nello scontro con
una realtà che la stimola e la
respinge insieme. Imbastirà anche
una storia sentimentale con un collega
e sarà riassunta l'anno successivo,
ma a certe condizioni; ciascuno può intuire
quali siano e perciò non saranno
accettate. Esaurita l'esperienza, la Watson parte per l'Europa, decisa a continuare
per la sua strada. La debolezza del film,
condotto con un ritmo vivace, con l'aiuto
di un'accurata ricostruzione d'epoca,
colonna musicale compresa, sta nell'analisi
superficiale della dinamica che s'instaura
tra nuovo e vecchio, tra formalismo e
verità, tra studio inteso come
formazione personale e nozionismo asettico.
La storia perciò non raggiunge
risultati poetici, non turba e non fa
pensare più di tanto, sembrando
un bell'articolo pubblicato su una rivista
trendy al femminile. "Parlano" più le
immagini fotografiche che la concludono,
tratte da spot dell'epoca e che la dicono
lunga più di tutto il film sul
ruolo della donna americana di buona
famiglia in quegli anni. Una citazione
merita la Roberts, misurata nella parte,
ma un po' appannata, che non sprigiona
la radiosa simpatia di altre interpretazioni. Olga
di Comite
VOTO: |