ANNO: Italia 2006
GENERE: Drammatico
REGIA: Emanuele Crialese
CAST: Vincenzo Amato, Charlotte Gainsbourg, Aurora Quattrocchi, Francesco Casisa, Vincent Schiavelli, Filippo Pucillo, Ernesto Mahieux, Isabella ragonese, Filippo Luna.
DURATA: 112 '
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TRAMA: L'emigrazione italiana durante il ventesimo secolo raccontata attraverso le vicende di una famiglia siciliana, i Mancuso, che agli inizi del '900 lasciano Agrigento alla volta dell'America. Salvatore (Vincenzo Amato), i suoi figli e sua madre, Donna Fortunata (Aurora Quattrocchi), dovranno fronteggiare un nuovo mondo ben diverso da come si erano illusi di trovarlo...
CRITICA a cura di Olga di Comite: Penso che ogni movimento migratorio abbia al suo interno una folla di eroi della quotidianità, senza medaglie, cavalli o elmetti, ma certo capaci di gran forza e coraggio se riescono a cambiare la propria vita, abbandonando tutto ciò che è noto e familiare per l'ignoto. E l'ignoto vuol dire che non si conosce quasi nulla del mondo a cui si va incontro, dalle piccole cose ed abitudini di ogni giorno, alla lingua, agli spazi, alla casa, alle relazioni. Tanto più eroico il gesto se questo significava varcare da analfabeti un oceano e cercare di radicarsi in uno dei più estesi territori del globo. Per i nostri emigranti agli inizi del XX secolo, l'America era davvero una porta d'oro che si apriva su un nuovo mondo dove tutto era grande, dai prodotti della terra di cui si favoleggiava ai palazzi che svettavano verso il cielo, da cui (nelle magiche fantasie suggerite dai racconti di altri emigrati) sembrava che dovessero piovere monete d'oro. Questa gente proveniva invece da realtà di ultimi della terra, si trattasse delle terre povere del Veneto, delle lande inospitali della Trinacria, delle aspre zone alpine del Trentino o dell'arida pianura del Tavoliere. Emanuele Crialese, nel suo nuovo lungometraggio, fa riferimento ancora una volta alla Sicilia, cui le sue radici di romano vissuto a lungo in America sono legate. Di quella regione sceglie la zona impervia e misera delle Madonie, terra durissima di abbandono e credenze al limite della stregoneria. Anche nel penultimo lavoro, "Respiro", l'ambiente è quello isolano, ma la località prescelta era la luminosa Salina intensamente azzurra; su quello sfondo di luce si muoveva una figura di donna mezza maga mezza popolana che vive una misteriosa intesa con la natura dei luoghi. In The Golden Door protagonista è una famiglia di stampo verghiano, che si esprime solo nel suo dialetto, il cui capo famiglia, rimasto vedovo, si decide a tentare l'avventura del distacco, portando con sè una vecchia madre e i figli. A lui il parroco affida anche due ragazze del luogo che devono arrivare come sono partite, perchè al di là dell'oceano le aspettano due sconosciuti fidanzati, che sposandole consentiranno loro l'entrata nel paese. Dopo un inizio di narrazione realistica ed epica per la sua durezza, equipaggiati con scarpe e vestiti smessi trovati dal prete, i nostri approdano all'imbarco della nave. Partono i bastimenti... L'attacco di una antica canzone napoletana strappacuore, ma nel film la partenza è una scena che da sola lo varrebbe tutto. Una ferita di mare, inquadrata dall'alto e di lato, si allarga lentamente tra chi rimane sul molo e la fiancata della nave, separando il mondo vecchio di chi resta da quello nuovo di chi parte. La seconda parte del racconto è poi una serie di quadri tra il magico ("E la nave va..." di Fellini) e il realistico di una traversata fatta in condizioni tremende. A sostenere però il contadino Salvatore Mancuso (Vincenzo Amato, bravissimo) c'è la figuretta elegante di una donna, Lucy (Charlotte Gainsbourg), che viaggia sola e che la famiglia prende sotto la sua protezione dopo l'iniziale diffidenza dell'anziana madre. Tra Salvatore e la giovane solo un susseguirsi furtivo di occhiate e l'incontro sfiorato che prelude a un sentimento diverso. A conclusione, nella terza parte, altri quadri narrativi raccontano lo sbarco a Ellis Island, (oggi quel luogo racchiude il museo dell'emigrazione), dove i nuovi arrivati venivano tenuti in quarantena, sottoposti a prove e test non solo medici, per stabilire chi era intelligente e quindi degno di entrare nel paese, mentre gli altri venivano rispediti via. Una specie di eugenetica nazista antelitteram e giustamente su quelle pratiche il regista pone l'accento, enfatizzando lo spazio, le scale, l'andirivieni quasi da formicaio degli aspiranti cittadini del nuovo mondo. Nel complesso una bella opera questa di Crialese, anche se non omogenea e convincente come "Respiro", che alcuni brani sono superflui, altri peccano di un eccesso di surrealismo che ne altera il carattere linguistico. Ma la fotografia è affascinante, le inquadrature asimmetriche e i primi piani da grande cinema; i dialoghi essenziali lasciano spazio a lunghe carrellate e a discorsi fatti di sguardi che dicono più delle parole. Olga di Comite
VOTO:
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