CRITICA a cura di Roberto Matteucci: “Avete il mio libro?” “No” “Allora vanfulo”. Nel 1947, anno dell’incidente di Roswell, un alieno cade sulla terra, uccidendo il cane di una bambina. Preso in consegna dai servizi di sicurezza è rinchiuso nei 26.000 metri quadri della famigerata Area 51. L’alieno è chiamato con lo stesso nome del cane: Paul.
Si inizia dall’immagine dell’interno di un ranch americano Anni Quaranta, ricco di oggetti persi nella memoria, stile Gotico americano di Grant Wood. Siamo in seguito scaraventati nella ricchezza tecnologica e fantascientifica dei nostri giorni. Due nerd inglesi sono in viaggio negli Stati Uniti, alla ricerca della loro storia immaginaria. Incapaci di costruirsi spazi propri e relazioni concrete sono alla spasmodica caccia di una conferma delle loro fantasie. Il contatto con l’alieno Paul avviene in maniera fortuita ed improvvisa, ma non casuale è il luogo: vicino all’Area 51 e alla Black mailbox punto di contatto ufo-esseri umani.
Il primo stacco è la creazione di un extraterrestre totalmente antropomorfizzato nel cattivo gusto e nella maleducazione. Come il mitico coatto Bombolo beve, fuma, scoreggia, soffre di mal di pancia, usa un turpiloquio creativo. E’ il classico badboy americano. Con il suo comportamento scorretto, i due ragazzi ingenui e sempliciotti, saranno una sua facile preda. In seguito sarà una fantasmagorica esplosione di citazioni cinematografiche di fantascienza e non, tutte di stretta e patriottica osservanza americana. Manca solo lo Zio Sam con il suo minaccioso indice puntato.
Il film ha una sua centralità proprio nella sua americanità totale, completa, disincantata e acritica. Un ulteriore sbalzo della storia è lo scontro frontale con un’orgogliosa famiglia americana bigotta. La figlia Ruth indossa una sbalorditiva t-shirt con Gesù che spara a Darwin: eccoci proiettati nella più violenta e sanguinosa guerra americana. Al confronto la guerra in Afghanistan è un gioco della Nintendo. Quella in Iraq una barzelletta. La reale battaglia americana è uno scontro di culture sconvolgente e senza applicazione della convenzione di Ginevra: il raccapricciante conflitto fra creazionisti ed evoluzionisti.
Con la stessa potenza di un ufo schiantato contro il suolo terrestre, il regista Greg Mottola – divertente autore dei nerd insicuri di Suxbad – imbeve la sua storia, pronunciando la sua partigianeria, attendibile come il suo alieno. Per riuscirci inaspettatamente nel finale cancella il suo linguaggio; il film diventa cruento e cattivo come la caduta in un dirupo di Wile Coyote. I personaggi cominciano a morire e l’alieno paga il proprio debito cacciando dalla terra la sua scopritrice. Ma, ironicamente, sono le ‘‘tre tette’’ la chiave del film. Si tratta di una donna guerriera con questa interessante variante genetica, immagine della copertina del libro di uno dei ragazzi.
Tutto si basa sulla novità e lo stupore del tre. Creazionismo ed evoluzionismo si trasformano in citazionismo cinematografico. Inseguimenti e viaggi on the road nella campagna americana assurgono le sembianze di un alieno bifolco. Clint Eastwood e l’Ispettore Callaghan diventano Gesù con la pistola fumante. Si potrebbe continuare con i due coloni inglesi sbeffeggiati nell’America rurale; due agenti segreti goffi e imbranati, ansiosi di abbattere i ‘‘grandi’’: siamo nel teatro del conflitto generazionale formato cartoon.
Nel romanticismo d’eleganti e colorati paesaggi americani – tanto amati dai romantici pittori della Hudson River School – si svolge un genuino film americano. Strade lunghissime e solitarie, cactus centrali ed edifici storici sono i luoghi della vita di un sogno. Il resto è tutto un grottesco e strampalato linguaggio. Nulla è attendibile. Tutti sono finti. Il padre bigotto urla al miracolo di fronte ad una guarigione dell’extraterrestre; ha trovato un nuovo Dio. L’ufo diventa un effettivo Dio americano. Roberto Matteucci
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