CRITICA a cura di Olga di Comite: Se era attesa una svolta, a mio parere, la svolta non c’è stata e un autore ormai maturo come Verdone non ha centrato il bersaglio.
Posti in piedi in Paradiso è come struttura, modalità narrativa, argomento tratto dalla realtà, tenera malinconia, non molto diverso da Io, loro e Lara. Temo perciò che sia iniziata una fase in cui il regista romano rifarà “lo stesso film” senza evoluzioni o asimmetrie significative.
Da questo punto di vista l’ultimo prodotto è molto deludente, perché, se qualcosa è cambiato, mi pare che consista in uno squilibrio maggiore tra i due ingredienti base, il serio e il faceto. Spesso la risata è affidata al farsesco non proprio originale, mentre il fondo drammatico non riesce a incidere e ad emergere più di tanto rispetto al tema.
Ciò detto, rimane il fatto che in un panorama di commedia italica facile e conformista, spesso affidata al solo turpiloquio ormai miserevole come l’uso nefasto e mercantile del corpo femminile, l’opera di Verdone abbia qualche merito. Al riguardo citerei la grazia della tenerezza, la simpatia umana, un certo grado di acculturazione e sensibilità nella creazione di personaggi femminili.
Al centro del racconto tre uomini: un produttore discografico in disgrazia (C. Verdone), un critico cinematografico alla deriva (P. Favino), un agente immobiliare sempre in bolletta (M. Giallini). Essi sono stati per motivi diversi piantati dalle rispettive consorti e si trovano in grosse difficoltà economiche, come tutti quelli che, lasciata la casa e la famiglia, debbono provvedere mensilmente al pagamento degli alimenti, come stabilito dal tribunale.
I tre, partiti alla ricerca di una casa, vista l’impossibilità di farlo da soli, decidono di coabitare per ridurre le spese. La convivenza imposta sarà chiaramente difficile e da costruire a piccoli passi. Nasce da qui una serie di situazioni più o meno comiche o impastate di difficoltà. Nel terzetto il personaggio interpretato dal regista ha un ruolo di cerniera tra gli altri due e allo stesso tempo quasi da padre un po’ depresso e comunque tollerante senza malignità.
Il lieto fine, un po’ velato, viene affidato alla generazione più giovane, cioè ai figli nonché al ruolo femminile di Micaela Ramazzotti, che interpreta una dottoressa molto svampita ma capace di sfoderare nel finale un’imprevista saggezza accanto al fascino indiscutibile.
Nella commedia di maschere all’italiana vengono sacrifcati i personaggi secondari, mentre il triangolo maschile dei protagonisti brilla per bravura insieme all’unica comprimaria. In particolare citerei Marco Giallini, che offre un’interpretazione da vitellone moderno sulla quale non c’è nulla da ridire. Olga di Comite
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