ANNO:
Italia 2004
GENERE:
Drammatico
REGIA: Saverio Costanzo
CAST: Mohammad Bakri, Lior Miller, Areen Omari, Tomer Russo, Hend Ayoub, Karem Emad Hassan Aly, Marco Alsaying, Sarah Hamzeh, Amir Hasayen, Niv Shafir, Sahar Lachmy.
DURATA:
90 '
TRAMA: L’esercito israeliano irrompe all’improvviso nella casa dove vive una famiglia palestinese agiata e colta. Per ragioni di sicurezza viene richiesto l’abbandono dell’edificio. La famiglia si rifiuta perché la casa rappresenta la propria vita e la propria dignità. I soldati occupano il secondo piano della casa e ogni giorno i “nuovi vicini” sono costretti ad un continuo contatto. Cosa fare allora per non aggredirsi e per non odiarsi? In un continuo alternarsi di situazioni di altissima tensione, la famiglia palestinese e i soldati israeliani dovranno avere il coraggio di incontrare, anche solo per un attimo, “lo sguardo dell’altro” per rispecchiarsi nella sua umanità...
CRITICA a cura di Gianni Merlin: C’è più di un elemento che può fa credere che in Saverio Costanzo si annidi la matrice perfetta di un dna autoriale personale e capace, alla luce di questo invidiabile Private, film claustrofobico, che giunge nelle sale come una lama tagliente a spiazzare quasi tutta la concorrenza italiana di questa stagione almeno, per originalità e solide basi cinematografiche.
Costanzo adotta il ruolo del regista presente/assente nella riproduzione delle note vicende di cui si compone la trama del film, osservando prevalentemente la famiglia palestinese in ogni suo componente, seguendone i movimenti, le deboli variazioni d’animo, le smorfie, i respiri: la camera a mano usata quasi ininterrottamente, si spinge molto vicina alla superficie epidermica degli interpreti, come un occhio indagatore ma, come detto, alieno dal contesto pesante in cui è inserito. Questa scelta, vero punto di forza del film, altro non fa che ampliare in modo esponenziale (titolo azzeccatissimo) la dimensione privata delle regole che governano la libera scelta palestinese di combattere in modo gandhiano l’irruenza israeliana e, allo stesso tempo, la costanza nel non abbandonare nelle inquadrature ma anche fisicamente la casa occupata come campo primario ed unico permette quella magica condivisione di pathos misto a rabbia e tensione fra spettatore e vicende narrate, obiettivo chiaramente nascosto dal nostro Costanzo.
Tale effetto di immedesimazione si concretizza maggiormente nelle scene di sparatorie notturne in cui i soldati israeliani si introducono nella abitazione e nelle quali ciò che colpisce è il formidabile senso di angoscia che lo schermo buio, le grida e le pallottole (che non si vedono) trasmettono grazie alla steadycam e soprattutto alla riproduzione digitale, che nella sua capacità di riprodurre lo stato naturale delle azioni narrate contribuisce in modo determinante alla liquidità dell’intreccio: spesso è buio nel salotto dove si è rifugiata la famiglia e spesso Costanzo si sofferma delicatamente a riprendere il sonno terrorizzato dei poveri palestinesi: viene in mente l’ultimo Amos Gitai di “Terra promessa”, autore anch’esso da sempre legato alla vicenda arabo-palestinese al cui stile Costanzo si può accostare.
Insomma, Private si pone come opera prima pienamente riuscita, ma, quel che più conta, brilla di impatto internazionale, con un respiro ed una originalità che l’attuale cinema italiano da diverso tempo si sogna di possedere; non era assolutamente facile l’idea di narrare la sconcertante vicenda della famiglia del buon Mohammed ma Costanzo ci riesce forse nell’unica maniera possibile, cioè quella del percorso personale e della forza dell’interpretazione, che è da sempre la regola principale per ben districarsi quando la storia e la realtà possono far sconfinare nella retorica: Private si tiene lontano da tutto ciò (tranne forse per l’immagine che ne esce dei soldati israeliani, al solito al limite del ridicolo) perché la forza delle immagini, la regia in sostanza diventano predominanti e ci conducono passo dopo passo dentro la casa, come se anche noi fossimo dei vicini nei territori occupati. Gianni Merlin
CRITICA a cura di Olga di Comite: Attrae la mia attenzione un articolo entusiasta del film di un certo Saverio Costanzo. Apprendo poi che si tratta del figlio del più noto Maurizio. L'argomento (il conflitto arabo-israeliano), è di quelli che mi interessano, in più è strano che a trattarlo sia un italiano, ma quel nome non mi convince. Sospetto infatti il solito figlio d'arte nostrano con opera sponsorizzata e finanziata dal genitore illustre. Comunque sono curiosa e vado a vederlo. Tutte le mie perplessità sono cancellate. In questo giovane, finora dedicatosi al documentario, non c'è traccia di ostentazioni familiari, ma un serio e geniale professionismo. Apprendo in seguito che l'autore ha venduto il film in molti paesi stranieri, dove il suo cognome non significa niente, e si capisce che sia così, perché l'opera è bella, coraggiosa, ben diretta e ben recitata.
Innanzi tutto il soggetto, o lo script come si dice in gergo: una storia semplice ma efficacissima, che prende spunto da uno di quei fatti che si verificano quotidianamente in zone belliche. Il regista non sceglie di raccontare la guerra, ma crea una fiction e una situazione che indirettamente ci dice tutto e di più di quel rovinoso scontro che si trascina da tanto tempo. Non c'è sangue al centro della scena, ma una normale famiglia palestinese di media cultura, che ha la ventura di vivere in una casa situata proprio sul confine arabo-israeliano dei territori. In questa abitazione, dove genitori e figli più grandi e più piccoli svolgono una vita quasi serena - dato il contesto -, arrivano un giorno dei soldati israeliani. La casa è requisita, il capofamiglia si rifiuta di abbandonarla, nonostante le paure di moglie e figli; i militari pongono la loro base al piano superiore, i proprietari sono confinati al piano di sotto. Stanza unica per dormire, cucina e bagno a ore, divieto di salire al piano di sopra pena severissime punizioni. La vita precedente è d'improvviso cancellata e si precisano i ruoli e i modi di pensare all'interno del gruppo famiglia. Ci accorgiamo così che anche i musulmani hanno caratteri, pensieri e reazioni diverse, che non sono tutti fanatici religiosi, che tra loro vi sono uomini di pace e di pazienza (il padre), così come giovani impazienti e ribelli (il figlio Jamel), donne obbedienti (la madre) e giovanissime (Mariam) che vogliono pensare con la loro testa, bambini piccoli e indifesi, come in ogni altra parte del mondo. Sopra c'è poi un'altra umanità, che a poco a poco disvela le proprie crepe, spiate da una fessura di un armadio dove si nasconde spesso la figlia maggiore. Il padre, personaggio centrale della vicenda, cerca, un po' con l'ironia, un po' con la ragione, un po' d'autorità, di restare nel luogo dove ha sempre abitato e di educare alla pacificazione. Rimanere in quella casa è per lui l'unica garanzia "per non odiare a vita gli ebrei", per non andare raminghi e profughi, spogliati veramente di tutto. Ma nella famiglia il suo pensiero non è condiviso; il figlio più grande sogna di diventare un kamikaze, la moglie, pure innamorata, spesso contesta le sue decisioni, il ragazzo mediano vorrebbe con tutte le sue forze andar via. Eppure il nostro professore resiste nella sua filosofia e cerca di proteggere i suoi dalla paura di quello che può succedere, spiando con gli altri i rumori del piano di sopra. Con questo semplice meccanismo, cercando una narrazione lineare e oggettiva e dando conto (con l'espediente dell'armadio) anche dei sentimenti, insicurezze, dubbi dei militari israeliti, Costanzo disegna un quadro in cui ci sono vittime da una parte e dall'altra... Viene naturale pensare a un altro recente gioiello "No man's land", in qualche maniera molto somigliante a quest'opera. E fa piacere vedere che qualche volta il nostro cinema si sprovincializza e dimostra che si può anche parlare d'altro che di sentimenti e nevrosi familiari o girare scialbe commedie che fanno poco ridere e poco pensare. Con scarsi mezzi e molta sensibilità, questo giovane autore ci regala qualcosa di profondo, con un ritmo giusto che tiene desta una speciale suspence, pur non essendo un thriller. Il fatto è che la realtà in questo caso supera la fantasia. Siamo di fronte a una storia chiara, di facile comprensione per tutti, resa con una tecnica in digitale, con la macchina che fruga nel buio, fa lunghi piani sequenza per non interrompere le azioni, alterna luce e buio profondo, squarciato da lampi, voci e idiomi diversi. Se anche uno spettatore ignorasse tutto dell'annoso conflitto arabo-israeliano, dal film ricaverebbe i concetti fondamentali per interpretarlo (vedasi il sogno del padre che immagina di dialogare con uno dei militari israeliani). Anche il finale, aperto e sospeso, lontano da buonismi o sconti d'occasione, lascia presagire angosciosi sviluppi per una situazione gravida di incertezze nuove ed antiche.
Una menzione a parte merita Mohammad Bakri, indimenticabile interprete nel ruolo del padre, questo anti-eroe saggio, pacifico e convinto che restando aggrappati alla propria casa e ai valori di una vita normale, si può combattere senza guerra. Quest'opera è perciò una lezione di vita oltre che di stile. Olga di Comite
VOTO:
SPIGOLATURE
In un'intervista rilasciata a Giorgio Nerone, il regista e il protagonista, esprimendo il proprio pensiero sull'elezione di Abu Mazen, così dichiarano: << (Costanzo) - Mohammad Bakri è contento di questa elezione perché A. Mazen vuole ricreare un'intifada pacifica, senza armi. Ci sono delle analogie col protagonista del film e il suo metodo di resistenza... (Bakri) - Si può sperare in una soluzione finale del conflitto, perché tutti vogliamo la pace... >>. E a una domanda sull'equilibrio tra le parti, nel film così rispondono i suddetti e l'attore israeliano Tomer Russo, che impersona uno dei militari: << (Costanzo) - L'oggettività era un obiettivo sin dalla scrittura... Ci siamo riusciti anche con l'escamotage della ragazza nell'armadio che spia i soldati al piano di sopra. Era l'unico modo per raccontare anche l'altra parte... (Bakri) - Non stiamo accusando la gente israeliana, ma allo stesso tempo bisogna che gli europei la smettano di tirar fuori l'antisemitismo se si critica il governo israeliano... (Russo) - Nello script che avevo tra le mani c'era già equilibrio tra le parti e c'era la sensazione che si avesse a che fare con esseri umani da entrambe le parti. Dobbiamo trovare il modo di risolvere le cose in maniera pacifica >>. E infine precisa il regista: << Gli attori sono lo spirito del film. Noi eravamo osservatori addetti al mantenimento della narrazione; questo non è, lo ripeto, un film di regia... >>. Io penso che sia anche un film di regia, e di ottima qualità. Adesso ci vorrebbe un film che rifletta soprattutto il punto di vista di una famiglia o della gente d'Israele e che possa servire di riflessione autocritica a quelli che non sono più le vittime del passato ma, almeno per certi aspetti, la parte forte.
INVITO
Invito alla visione di "No man's land" di Denis Tanovic, 2001, in videocassetta, e di "Una lunga domenica di passioni" di Jean-Peirre Jeunet, attualmente nelle sale. Due modi diversi di presentare due diversi conflitti con in comune il rifiuto della guerra.
Invito alla lettura di un commovente servizio giornalistico su La Domenica di Repubblica (13-02-05), che ha come protagonisti un padre israeliano e una madre palestinese, che parlano dei loro figli caduti da una parte e dall'altra.
Invito a spulciare in libreria o in biblioteca le due ultime opere di Oriana Fallaci per (non) capire come si possa anche essere molto lontani da una possibile oggettività.
PROVOCAZIONI
1. Il personaggio principale del film è un pacifista o un codardo?
2. Chi sono i cattivi oggi: gli israeliani o i palestinesi?
3. Come la storia giudicherà, secondo voi, Jasser Arafat?
4. Ma è proprio vero che una casa è radice di identità o si tratta di un luogo comune cooptato all'altezza di un valore?
a cura di Olga di Comite |