CRITICA a cura di Olga di Comite: La scommessa di questo film, campione d’incassi in Francia e spero tra poco da noi, sta in un nucleo semplice attorno al quale ruotano gli episodi più o meno riusciti e originali: chi è svantaggiato e disabile del tutto, vuole sentirsi alla pari con gli altri, senza sguardi pietosi che coprano la realtà, e vuole essere amato da qualcuno capace di scherzare e ridere anche delle sue disgrazie, facendolo davanti e non alle spalle. Il più delle volte infatti il disagio che proviamo di fronte all’handicap si traduce in comportamenti innaturali, mielati, che l’altro avverte come falsi.
Diciamo anche che i due protagonisti, contrapposti per condizioni culturali, materiale e sociali, sono però accomunati da una menomazione, figlia della povertà per l’uno, figlia di una privazione fisica per l’altro. Questi due denti dell’ingranaggio, incastrandosi a meraviglia, daranno ai due la possibilità di colmare molti vuoti reciproci, evolvendosi rispetto alla condizione iniziale e dando vita a una salda amicizia. Da questo punto di vista, entrambi i titoli del film, l’originale e il tradotto, una volta tanto sottolineano un significato che è cuore del discorso.
E’ anche doveroso ricordare il contributo che la colonna sonora, firmata da Lodovico Einaudi al pianoforte, dà all’opera. Essa è una delle più belle ascoltate quest’anno: melodie tenere e intense si mescolano senza ritegno (come le azioni dei protagonisti) a brani degli Heart, mentre Wind e The Fire seguono un attacco di Vivaldi senza complessi e per l’uno e per l’altro.
L’interpretazione dei ruoli principali è ottima: Francois Cluzet disegna con sofferta raffinatezza umana e culturale la parte di un ricco e aristocratico francese paraplegico senza autonomia dal collo in giù. Egli impara dall’altro che il vuoto e la disperazione sono condizioni di testa e non fisiche quando si ha il sostegno di un rapporto sincero. Omar Sy dà invece vita al personaggio del badante. Proveniente dalla banlieue, immigrato senegalese di prima generazione, avanzo di galera ma pieno di vita e di entusiasmo, appare rozzo e sincero fino alla brutalità; ma non privo di ironica intelligenza. Facendone uso, egli comprende cosa serve davvero al suo assistito, al di là di medicine e trattamenti o di ingessati e noiosissimi candidati al posto.
Allora un film perfetto? No, perché qualche prezzo si paga per rendere accettabile un tema così complesso. C’è perciò da parte della regia una semplificazione eccessiva nel sorvolare su quale corto circuito potrebbero generare l’origine e i mezzi diversissimi dei due. Né è efficace la rappresentazione, appena suggerita, della condizione di oggettivo squallore in cui versa tanta periferia della civilissima Parigi. Fatta salva la segretaria, anche gli uomini e donne che circondano il paraplegico sono poco più che caricature.
Del, resto quello che manca da una parte, abbonda dall’altra e lo spettatore arriva alla fine emotivamente disteso, rassicurato, oltre cha da franche risate, dal sapere che la storia muove da personaggi realmente esistenti.
Via via, col solidificarsi e approfondirsi del legame, entrambi modificano in meglio la loro condizione. Infine ciascuno tornerà nel suo mondo senza rinunciare a quell’amicizia davvero intoccabile e che quindi la favola bella è in parte vera: quasi amici, appunto. Olga di Comite
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