CRITICA a cura di Olga di Comite: “I Malavoglia” semplificato e aggiornato, il terzo film che completa la trilogia di Crialese (Respiro, Nuovomondo) con al centro il mare. Di questo elemento il regista conosce avvisi e increspature e le rende con una emozione contagiosa. In questo è aiutato senz’altro dalla fotografia di Fabio Cianchetti che dà potenza evocatrice all’immagine, ricordandoci che il cinema nasce da quella.
Dentro, accanto, sull’acqua, si muovono barche, pescherecci, gommoni e persone in un affresco corale che, come dicevo all’inizio, ha un sottofondo verghiano. C’è una casa, una famiglia, c’è la barca Santuzza invece de La Provvidenza, ci sono i pescatori, i vecchi e i giovani, la legge della tradizione e quella dei codici. I fatti si svolgono nella contemporaneità, ma tutto appare, nei momenti più felici del racconto, arcaico e mitico.
Il vecchio nonno pescatore si trasforma in un Vulcano-fabbro che tra scintille raddrizza sull’incudine l’elica del suo natante; i turisti si muovono su ritmi moderni, ma si tuffano in mare con un movimento armonico che ricorda gli atleti greci; le due donne e madri con le loro debolezze e la forza primigenia che ne emana sono due eroine mitologiche, una bianca, l’altra nera; il giovane nipote è un Eurialo siciliano indeciso nella sua età irrisolta tra il richiamo di una nebulosa sessualità e lo strutturarsi di un’etica personale.
Come sempre in Crialese i dialoghi (in dialetto perlopiù) sono scarni; spesso il regista li affida a gesti elementari (vedi i bellissimi primi piani di mani che dissetano o detergono nella scena dell’arrivo di migranti sulla spiaggia piena di turisti) o a silenzi densi come la penombra in cui si svolgono (vedi i dialoghi senza parole tra l’isolana e la clandestina).
Circa l’interpretazione degli attori, l’unico sottotono perché non ha molte corde al suo arco espressivo mi è parso Giuseppe Fiorello; gli altri, sono bravi e naturali, cosa non facile per gli attori nostrani che spesso mostrano l'accademia sotto pelle. In particolare per la Finocchiaro e gli altri personaggi femminili, il regista conferma di possedere una sensibilità speciale nel crearli e dirigerli.
I paesaggi, l’umanità di qualsiasi colore, i sentimenti sono quelli che davvero emozionano in Terraferma; dove prevale l’intento ideologico il racconto perde invece profondità e incanto, diventando semplicistico per forza di cose. Olga di Comite
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