ANNO:
Australia 2002
GENERE:
Drammatico
REGIA: Rolf
De Heer
CAST:
David Gulpilil, Noel Wilton, Damon
Gameau, Gary Sweet, Grant Page.
DURATA:
98 '
TRAMA:
Outback australiano, 1922 - Tre poliziotti
a cavallo (Gary Sweet, Damon
Gameau, Grant Page),
più un prigioniero aborigeno (David
Gulpilil)
obbligato a far loro da guida, danno la caccia ad
un altro indigeno (Noel Wilton) incolpato di aver
ucciso una donna bianca.
CRITICA a
cura di Sabrina
Averone:
Outback australiano, 1922:
tre poliziotti a cavallo, più un
prigioniero aborigeno obbligato a far
loro da guida,
danno la caccia ad un altro indigeno
incolpato di aver ucciso una donna bianca.
Tra i tre poliziotti il capo, accanito
razzista convinto che gli aborigeni vadano
sterminati, si fa artefice di svariate
carneficine, sotto gli occhi sempre più preoccupati
e disaccordi degli altri due, in particolare
il più giovane, il quale pian
piano risveglia la sua coscienza sociale
e umanitaria e si ribella. Il capo infatti
mostra crudeltà a 360° arrivando
ad uccidere uno dei suoi due compagni
di viaggio, perché essendo stato
ferito e necessitando di cure rallenta
il ritmo di caccia del gruppo. Il viaggio
nel deserto australiano, pur essendo
narrato in termini descrittivi e storicamente
verificabili, puo' essere anche interpretato
come un viaggio nel genere umano, in
cui parallelamente all'inasprirsi della
crudeltà e della violenza del
capo si assiste al processo inverso di
scoperta della propria appartenenza all'umanità del soldato più giovane.
Una delle prime scene emblematiche del
processo di autoconsapevolezza del giovane è quella
in cui egli, dopo essere stato costretto
a partecipare all'uccisione di un pacifico
gruppo di aborigeni che si intratteneva
in riva al fiume, cade in ginocchio piangendo,
ironicamente consolato dall'aborigeno
che portano con sé. In seguito
arriverà a liberare l'aborgeno
e legare il proprio superiore. La narrazione
filmica va a periodi: momenti di calma
descrittiva con i tempi propri del western
si alternano a momenti in cui il discorso
si fa più veloce. Bellissimo il
paesaggio australiano, e bellissime le
canzoni scritte da De Heer e
cantate dall'aborigeno Archie
Roach.
La caccia
all'assassino si fa sempre più serrata,
i passi di inseguitori e inseguito si
susseguono fra i ciottoli e i cespugli
dell'outback, rievocando in qualche modo
la caccia fra animali e la fuga della
preda dall' inseguitore. Spesso sembra
quasi di sentire, di percepire che l'assassino è in
trappola, grazie all' infallibile senso
di orientamento e sopravvivenza nella
natura dell'aborigeno guida. Nonostante
si cerchi l'assassino nero, e una volta
trovato egli venga giustiziato (per un
altro reato), ad opera di un uomo della
sua stessa razza, per mantenere vivo
il codice compartamentale aborigeno e
il senso di appartenenza alla collettività,
assassini sono soprattutto i bianchi,
ed il film evidenzia senza mezze misure
le differenze tra chi è convinto
razzista e si crede portavoce di una
crociata in difesa dell'unica razza degna
di tale nome, e chi invece dapprima partecipa
forzatamente alle operazioni e poi si
ribella per non abbrutirsi totalmente. Un film sull'uomo, sui valori
ed i falsi valori, sulla violenza, l'umanità,
l'ingiustizia, sul razzismo, un film
antropologico e nel contempo storico,
ma di una storia romanzata, velata, che
trasuda violenza ma la depreca al punto
da allontanarla idealmente, come per
esorcizzarla. Infatti le scene di violenza
sono espresse visivamente mediante l'inserimento
nel quadro narrativo di dipinti che le
rappresentano anzichè mostrarle.
Un filtro questo dal doppio effetto:
da un lato stemperare la crudeltà rendendola
meno reale, dall'altro lato considerando
che il cinema è costituito da
immagini in movimento, che non si fermano
più di pochi istanti sullo schermo,
ed esprimono dunque nella loro stessa
essenza un concetto di transitorietà,
sottrarre alla fugacità il concetto
espresso e innalzarlo alla sfera dell'evento
artistico di per se stesso caratterizzato
dalla sottrazione ai canoni spazio temporali. Sabrina
Averone
VOTO: |