CINEMOVIE.INFO - il Cineportale del Cinema moderno

Recensioni
Recensioni
Box Office
Box Office
Notiziario Notiziario
Trailers Trailers
Celebritą Celebrità
Frasi Celebri Frasi Celebri
Cine Specials Cine Specials
CINEMOVIE.INFO


ZATOICHI

ZatoichiANNO: Giapppone 2003

GENERE: Azione

REGIA: Takeshi Kitano

CAST: Takeshi Kitano, Tadanobu Asano, Michiyo Oguso, Yui Natsukawa, Gatarukanaru Taka, Daigoro Tachibana, Yuko Daike, Ittoku Kishibe, Saburo Ishikura, Akira Emoto.

DURATA: 115 '

VISITA IL SITO

TRAMA: Siamo nel Giappone feudale del XIX secolo. Zatoichi (Takeshi Kitano) è un massaggiatore cieco, ma soprattutto un valoroso maestro di arti marziali, esperto nelle tecniche di spada. Durante il suo vagabondare giunge in un villaggio di montagna oppresso dallo spietato Ginzo (Ittoku Kishibe). Amante del gioco d'azzardo, Zatoichi, in compagnia dell'amico Shinkichi (Gatarukanaru Taka), conosce le affascinanti quanto pericolose geishe Okinu (Yuko Daike) e Osei (Daigoro Tachibana), decise a vendicare le vite dei loro familiari trucidati a sangue freddo...
CRITICA a cura di Leo Pellegrini: Per questo esordio in un film in costume, Takeshi Kitano ha scelto di non utilizzare un suo soggetto ma di ispirarsi alla omonima popolare serie tv giapponese, ricca di 26 episodi in quasi altrettanti anni, tra '62 e '89. Il film è comunque interamente "suo": lo scrive, dirige, gira, monta e interpreta. Il risultato è un lavoro entusiasmante (giustamente premiato a Venezia, 2003), curato in ogni minimo dettaglio: la macchina da presa non sbaglia un'inquadratura, la scenografia è magistrale, gli attori eccellenti. La trama è quasi banale e sa di già visto tante volte (Zatoichi è un vagabondo cieco che si guadagna da vivere come massaggiatore: nonostante la cecità è un giocatore d'azzardo incallito e soprattutto un letale spadaccino. Durante le sue peregrinazioni finisce in uno sperduto villaggio montano angheriato dalla banda di un crudele tiranno locale). Ma ciò che importa è la personale reinvenzione del regista. I personaggi recitano e fingono cose che non sono. Vivono il loro dramma ricorrendo continuamente a piccoli flashback. E sono ricordi che si mescolano al presente: si origina un luogo senza tempo, un vero e proprio palcoscenico di teatro dove i generi più diversi e contrastanti sono mirabilmente fusi. Finzione e realtà, umorismo e solitudine, ironia e violenza, dramma e gag, thriller e commedia, comicita e amarezza, serietà e divertimento: il tutto rende questa storia una summa del lavoro di Kitano. Visivamente affascinante, magistralmente realizzato (indimenticabili le musiche di Keiichi Suzuki), contiene numerosi omaggi al cinema del passato (da "Helzapoppin" a "Dancer in the Dark" a "I Sette samurai") e, affidandosi completamente alla computer graphic per la creazione dei molti litri di sangue versati sullo schermo, anticipa quello che lo stesso Tarantino compirà all'interno dei sui "Kill Bill". Ma l’undicesimo film di Kitano sarà soprattutto ricordato per la scena finale: un tiptap degno dei migliori musical di Broadway che vede coinvolto l’intero cast e costituisce un vero e proprio colpo di genio. Leo Pellegrini
VOTO: 8

CRITICA a cura di Mirko Benedetti: Dopo la sbandata onirica di "Dolls", Kitano torna alla sua vena più autentica e ispirata con Zatoichi. Ancora una volta è artigiano totale del suo prodotto, che scrive, dirige, gira, monta e interpreta. Di nuovo mette in scena il suo soggetto prediletto, la mafia giapponese, declinando questo ennesimo omaggio autoriale alla Yakuza in situazioni e atmosfere medievali. Il risultato è un prezioso gangster movie in costume, costruito come un delicato origami inzuppato di sangue al centro. Zatoichi, infatti, pur essendo scandito dal ritmo lieve e aggraziato di una danza Kabuki, è tramato di quegli eccessi truculenti che costituiscono un marchio di fabbrica di casa Kitano. L’abnorme e grottesca mattanza della pellicola, estrogenata ironicamente da un uso plateale degli effetti speciali, avvicina Zatoichi a "Kill Bill volume 1", altro sofisticato ed ironico film-macelleria del momento. Anche Kitano, inoltre, sente il demone del metacinema. Non come Tarantino, che ormai racconta esclusivamente per citazioni, ma abbastanza da strizzare l’occhio in parecchie direzioni, da Kurosawa ai B-movies di arti marziali, da Ozu a Kawabata. Con tocco asciutto ed essenziale Kitano innesta nel tronco spietato del film d’azione i suoi temi di sempre, specie quello dell’infanzia violata e della dolorosa assenza della famiglia, sostituita da surrogati di fortuna, come la banda, la setta, la strada, la gang. In quelle anse di raccoglimento il Kitano regista ferma il Kitano attore in pose da pietra assorta, poi l’azione riprende, serrata e incalzante. In quest’universo duro e feroce gravita il consueto bestiario di bulli grotteschi, malavitosi al crepuscolo, spacconi strampalati, macchiette surreali. egli li manovra come marionette ridanciane del teatro Bunraku, per spezzare la tensione del dramma con imprevedibili sketch esilaranti. Può capitare allora che la relazione maestro-allievo, tradizionalmente composta e rituale nei kung-fu movies, si sbrachi in bastonature pulcinellesche. Oppure che la convenzionale oleografia del Giappone agreste sia attraversata da improbabili contadini che intessono una polifonia di sonorità techno col solo rumore delle zappe. In queste gag stralunate e demenziali il regista mette a frutto le sue doti di popolare comico televisivo, ma riafferma soprattutto una costante della sua poetica, che assimila la gioia momentanea e alata del gioco ad una distrazione dal dolore e dalla morte. Al culmine di queste digressioni umoristiche c’è il finale, metacinema puro, travolgente, corale, con tutti gli attori scatenati in un musical carnevalesco del Sol levante e il vecchio Takeshi che buca per ultimo la quarta parte, col suo ghigno di artefice irriverente e spassoso. Mirko Benedetti
VOTO:

   
 
 
   
 

Disclaimer | © 2001-2006 CINEMOVIE.INFO | Web Design: © 2006 MARCLAUDE